Il 13 novembre scorso la Corte di Cassazione argentina ha confermato la condanna a 6 anni di carcere inflitta all’ex Presidente Cristina Fernandez de Kirchner alla quale si aggiungono l’inabilitazione perpetua a esercitare incarichi politici e la sospensione della pensione di privilegio (circa 25.000 euro al mese) estesa anche a suo marito, il defunto ex Presidente Nestor Kirchner (che lei continuava a ricevere). La pena diventerà esecutiva solo quando il ricorso contro la condanna, presentato dalla sua difesa, si risolverà in maniera negativa.
La causa che ha portato alla decisione risale a fatti accaduti molti anni fa e si inquadrano nell’accusa, fatta a suo tempo pure all’ex marito, di illeciti compiuti durante le gare per aggiudicarsi lavori di costruzione di strade nella Provincia Patagonica di Santa Cruz (di cui Nestor Kircher, all’inizio della sua carriera politica fu Governatore) e che sistematicamente venivano aggiudicate a un amico dei Kirchner, un ex impiegato del Banco Patagonia “improvvisamente” trasformatosi in costruttore, Lazaro Baez, titolare dell’impresa Austral Construcciones e già condannato al carcere domiciliario. Anche Cristina, a causa dell’età superiore a 70 anni, in caso di respingimento del ricorso, subirà la stessa sorte: come d’altronde prevede la legge.
In pratica questa è la prima sentenza, dei dieci processi a suo carico che devono in gran parte essere conclusi, che colpisce la Kirchner e il sistema di corruzione messo in atto dalla coppia che, secondo i calcoli di esperti, ammontano a circa 30 miliardi di dollari.
Come dicevamo, la “Causa viabilità” venne istituita quando si scoprì non solo come tutte le opere infrastrutturali fossero “magicamente” assegnate all’amico, altrettanto “magicamente”, costruttore, ma anche che le stesse non venivano quasi mai terminate o nemmeno iniziate, mentre lo Stato ne pagava l’intero importo che, automaticamente, veniva successivamente gestito da Baez stesso a favore della coppia e destinato a paradisi fiscali, quando non addirittura sotterrato in capaci borse da viaggio, al fine di sfuggire ai controlli che a un certo punto vennero ordinati dalla Magistratura nel corso delle indagini.
Le prove su questo, come di altri traffici simili, sono contenute in voluminose cartelle che non solo indicano chiaramente le truffe attraverso una documentazione, ma anche dichiarazioni di ex collaboratori che, come in altri casi, hanno alla fine deciso di collaborare con la giustizia.
Ovviamente i tempi di esecuzione dei vari processi sono stati “attuati” da un mondo giudiziario apertamente amico del kirchnerismo e sotto i loro Governi ed è per questo che solo oggi è stata, finalmente, confermata la prima sentenza decisa più di un anno fa.
Ma la Kirchner, che la settimana scorsa è stata nominata Presidente del Partito Peronista, oltre ovviamente a respingere la sentenza con dichiarazioni di fuoco e parlando apertamente di un complotto riconducibile all’assurdità del Lawfare, parola che sottintende una persecuzione che il potere politico di turno adotta contro avversari implicati in cause varie (e guarda caso sempre appartenenti al mondo populista), ha un piano nelle sue mani che è destinata ad adottare.
Nonostante il PRO, il movimento guidato dall’ex Presidente Mauricio Macri, e che in pratica rappresenta l’opposizione alle Camere che hanno una maggioranza filo kirchnerista (che finora ha ostacolato il Governo democraticamente eletto di Javier Milei) stia spingendo affinché il ricorso di appello venga giudicato dalla Corte Suprema di Giustizia entro il mese di dicembre , diversi fattori fanno pensare che la forte presenza di “amici” della Kirchner nella giustizia si adopererà per far slittare la data del riesame a dopo il 25 maggio del prossimo anno, data nella quale Cristina presenterà la sua candidatura tra quelle dei pre-candidati alla prima tornata elettorale per le elezioni del Parlamento nazionale, e quindi, in automatico, la Kirchner verrebbe “salvata” dall’immunità parlamentare che, a quel punto, cancellerebbe la sua condanna.
Nel 2017 difatti anche l’ex Presidente Carlos Menem, peronista, nonostante la camera elettorale lo avesse inabilitato (come Cristina) a incarichi politici a causa di una condanna per vendita illegale di armi alla Croazia e all’Ecuador, ottenne dalla Corte il permesso di partecipare alle elezioni e così di essere eletto al a carica di Senatore: fatto che automaticamente gli fornì l’immunità all’arresto.
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