Che l’Argentina sia ormai arrivata all’ennesimo tracollo finanziario ed economico è cosa nota, in un Paese che ormai è destinato (salvo improvvisi cambiamenti di rotta già possibili con le elezioni politiche di novembre) a copiare il Venezuela. E, come nel Paese caraibico, è iniziato un esodo (soprattutto della classe media) verso altre nazioni: l’Uruguay è quella più gettonata, vista la sua vicinanza e la grande tradizione democratica che l’Argentina, a causa del peronismo, non è mai riuscita a instaurare, se non per brevi periodi.



Ma ha ripreso slancio pure (da parte di alcuni tra i principali quotidiani) la favoletta dell’Italia facile approdo per molti, anzi moltissimi, argentini che spesso di italiano hanno lontanissime origini. Abbiamo già denunciato il fenomeno dei passaporti facili e quello delle residenze fasulle, fatti peraltro appoggiati da regole dello “ius sanguinis” che appartengono all’era giolittiana o da organizzazioni che pullulano su internet promettendo residenze in appena quindici giorni.



Assistiamo così al paradosso che migliaia di persone che ormai risiedono in Italia da più di dieci anni e ne parlano perfettamente la lingua, oltre a essersi integrati e in alcuni casi addirittura atleti pronti a gareggiare per i nostri colori, non possono ottenere la cittadinanza a causa di uno “ius soli” con regole assurde, mentre masse che aumentano con l’acuirsi di crisi economiche e politiche specie in America Latina possono avere il diritto di sentirsi italiani a tutti gli effetti.

Si pensava di aver superato il limite dell’assurdo, ma eccoci entrati nella metafisica più totale recentemente, visto che alcune associazioni di italiani in Argentina hanno iniziato ad alimentare un fatto che è francamente incredibile anche per la totale assenza delle nostre Autorità (leggasi ministero degli Esteri) a smentire certe “notizie”.



Ora in Italia sarebbe possibile arrivarci solo con un semplice certificato che attesti la parentela con un avo che dopo il 1861 sia emigrato senza però aver acquisito la cittadinanza del Paese ospitante, ma non solo. Una volta arrivati in Italia si otterrebbero case ad un euro con eventuale intervento dei comuni nelle spese di ristrutturazione, ma anche un reddito di 800 euro e, alla fine, un lavoro. Unico requisito sarebbe che in questa succursale del Paradiso terrestre che è la nostra cara Italia si dovrebbe risiedere per tre anni: dopodiché liberi di tornare nel proprio Paese.

Una volta ascoltato un discorso simile pensavo che fosse il parto di una persona un po’ disinformata, ma ecco dopo le dichiarazioni di costei iniziare una cascata di messaggi che chiedono informazioni sulla cosa e la contemporanea scoperta, attraverso contatti con altri colleghi o bloggers, che il fenomeno ha investito pure loro.

Sul fatto che siamo un Paese di anziani e che il fenomeno di nascite zero si ripeta negli anni, siamo tutti d’accordo. Come anche sul fatto che abbiamo un estremo bisogno di un’immigrazione che, se attuata attraverso persone discendenti dei connazionali che emigrarono nel secolo scorso è pure lodevole. Ma permettere che si crei una distorsione mediatica dei fatti in modo che ciò possa attirare migliaia di persone che magari (come accaduto nel fatidico 2001 argentino) arrivano in Italia con illusioni di vario genere, poi disattese scontrandosi con la realtà, non è certo molto positivo, per non dire peggio.

Occorre fare chiarezza su una questione importantissima come l’immigrazione, copiando gli altri Paesi, sul fronte dello “ius sanguinis”, che limitano alla seconda generazione l’ottenimento della cittadinanza. Il reddito va chiaramente mantenuto, perché costituisce un mezzo in grado di tamponare momentaneamente situazioni di povertà: ma se non supportato da una vera offerta di lavoro che, se rifiutata, fa perdere il diritto al sussidio, si trasformerebbe, come accaduto in vari Paesi latinoamericani, in uno strumento politico di scambio con il voto che, alla fine, provocherebbe solo un aumento della povertà e del lavoro in nero.

Sul fronte invece del fenomeno del “Paradiso italiano” che rischia di provocare non pochi problemi, si dovrebbe agire attraverso le sedi dell’ICE con l’istituzione di uffici che offrono opportunità lavorative nel nostro Paese, come da molti anni viene fatto in Canada e come, nel secolo scorso, avvenne proprio in Argentina, con la creazione di uffici dedicati nelle proprie sedi diplomatiche, che alla fine regolarono le masse di italiani che si trasferirono lì per “trovare l’America”.

Bisognerebbe inoltre costituire finalmente dei canali che possano divulgare un’informazione corretta sul nostro Paese, tanto ricercata dalle massive comunità di origini nostrane, quanto inesistente a livello mediatico: oppure distorta con gli articoli sul “Paradiso italiano”.

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