Nella recente riunione del G20 di Roma, l’Argentina ha confermato che la sua attuale visibilità e importanza nel mondo attuale è pari a zero. Fin dall’elezione di Alberto Fernandez a Presidente il Paese ha subito un isolamento che in pratica è stato fortemente voluto dall’attuale Governo, che nelle sue politiche internazionali ha in sostanza rigettato, con critiche pesantissime, il mondo occidentale per preferire alleanze con regimi dittatoriali (Iran, Venezuela, Nicaragua) o con Paesi in cui la democrazia costituisce un elemento di pura facciata come Cina e Russia.
Già prima della sessione internazionale recentemente conclusa si erano avuti campanelli di allarme, specialmente con colui che poteva rivelarsi un vero e proprio asso nella manica diplomatico e che, fin dove ha potuto, ha cercato di aiutare il suo Paese natale: ci riferiamo a papa Francesco, che Fernandez aveva incontrato nel maggio scorso.
Sebbene il Papa non possa rifiutare le visite dei capi di Stato, Bergoglio ha stabilito una regola molto precisa: esse non possono avvenire quando nei Paesi dei Presidenti ospitati ci sono elezioni in programma. Regola che il Papa giustamente ha instaurato per non porre la sua figura come alleata di questo o quel politico di turno e creare un’esplicita influenza nel voto.
Nonostante la diplomazia argentina conoscesse molto bene questa regola (come le altre Cancellerie d’altronde) ha fatto pressioni enormi per la visita, arrivando alla fine in quello che potrebbe essere definito più un saluto che un colloquio, visto che nei venti minuti dell’incontro si è a malapena arrivati alle presentazioni di rito, ma ottenendo l’effetto di una sostanziale arrabbiatura del Santo Padre.
Ora nel corso del G20 il Presidente argentino si è presentato con il chiaro scopo di ottenere dal Fondo monetario internazionale condizioni più favorevoli al pagamento del debito che l’Argentina ha con questa istituzione, cercando oltretutto la solidarietà e l’aiuto degli altri capi di Stato presenti. Ma, a parte la mancanza dell’asso nella manica citato, anche in questa occasione si è capito come mai il 70% dell’Argentina ha votato nelle primarie di settembre contro l’attuale Governo, che pare avere dalla sua parte una dote che ha del miracoloso fin dall’inizio del suo dicastero: riuscire a trasformare in disastro ogni sua mossa.
Se un capo di Stato deve ottenere un risultato politico nel corso di un incontro, la prima regola è presentarsi con un ramoscello d’ulivo in mano, in modo da facilitare un risultato positivo. “Elementare Watson!”, direbbe Sherlock Holmes. Ma invece Fernandez ha fatto esattamente il contrario: in un discorso effettuato pochi giorni prima del viaggio a Roma, nella località di Moron, nel Gran Buenos Aires, ha attaccato violentemente il Fmi in modo tale da pregiudicare il risultato finale dell’incontro. E in sostanza, seppur con toni meno violenti, ha replicato la prestazione precedente, affermando, nel suo intervento di tre minuti all’apertura del G20 di Roma, che “in questa storia non ci sono innocenti: sono responsabili sia coloro che si sono indebitati senza considerare le conseguenze disastrose, come coloro che hanno elargito il prestito atto a finanziare la fuga di capitali in una economia distrutta” con chiaro riferimento al suo predecessore, Mauricio Macri.
Dopo questo ennesimo rovinoso discorso Fernandez si è incontrato, seppur molto brevemente, con il Presidente americano Biden, con il quale ha parlato del loro “comune amico” (sic) papa Francesco. C’è da dire che, per quanto riguarda il debito con il Fmi, la storia è un po’ diversa da quella raccontata dal Presidente, perché Macri lo dovette contrarre nel 2018 per pagare sia un credito precedentemente fatto da Cristina Fernandez de Kirchner con banche internazionali, sia per finanziare opere pubbliche in una nazione che ne aveva estremamente bisogno dopo i 15 anni di kirchnerismo nei quali non si erano realizzate… ma si erano pagate con soldi di uno Stato finito in bancarotta.
Ma anche attualmente la situazione dell’Argentina è disastrosa, con un dollaro che al mercato parallelo ha raggiunto i 200 pesos, un’economia sempre più depressa, anche per i riflessi della pessima gestione sanitaria durante la pandemia.
Insomma, il risultato catastrofico delle primarie rischia di ripetersi nelle elezioni legislative del 14 novembre, nonostante l’improvvisa fine dell’emergenza sanitaria decretata a sole 24 ore dalla debacle, le regalie fatte ai ceti meno abbienti e anche un lieve aumento delle pensioni, ma dopo averle disastrosamente tagliate all’indomani dell’inizio della presidenza di Alberto Fernandez.
Il quale, dopo l’ennesima debacle romana, si ritrova con un Paese sempre più isolato dal mondo e indebitato. Insomma ,su quella strada verso il Venezuela che i lettori del Sussidiario conoscono bene e che solo la definitiva uscita del peronismo dal potere potrà evitare. Arrivederci al 15 novembre per conoscere la fine di questo cammino tortuoso che affligge una della nazioni più ricche del mondo da più di 70 anni.
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