Sul fatto che il Governo argentino del Presidente Alberto Fernndez sia di netta e chiara (oltreché forte) matrice kirchnerista non esiste ormai il minimo dubbio. Tutte le principali componenti sono saldamente nelle mani della vicepresidente Cristina Kirchner che utilizza una tecnica di comunicazione mediatica alquanto originale, sebbene suggeritagli fin da prima delle elezioni Presidenziali del 2019 dai suoi consulenti appartenenti a Podemos, il movimento populista spagnolo. Parlare il meno possibile e dimostrare il suo potere con i fatti: ed ecco che, seguendo fedelmente questo copione, colei che durante la sua Presidenza fatta di due mandati ha inondato i canali televisivi di discorsi alla nazione, spesso intrapresi anche per inaugurazioni di opere pubbliche ripetute più volte e spesso con i lavori mai portati a compimento, improvvisamente decise di autonominarsi non solo candidata alla vicepresidenza ma pure scegliere il proprio candidato al più alto incarico del Paese, fatto unico nella storia non solo argentina ma anche delle democrazie. E soprattutto mettersi in un silenzio tombale, fatto rarissimo, se si eccettua l’arringa estremamente lunga ma soprattutto irrispettosa della legge, a un suo processo, uno degli 11 che ha in corso.
Le elezioni poi, come tutti sanno, sono state vinte da Alberto (sempre Fernandez), ma fin dal primo giorno della sua presidenza le promesse della campagna elettorale sono state ampiamente disattese: tanto che al giorno d’oggi, se si tornasse a votare, il pur sgangherato precedente Governo di Mauricio Macri, accusato di essere un neoliberalista estremo, vincerebbe tranquillamente le elezioni. Durante gli anni della sua presidenza, la passata opposizione (ora Governo) peronista e kirchnerista, attraverso i movimenti sociali e le loro proteste, organizzava quotidianamente cortei che in pratica bloccarono l’attività delle città quasi ogni giorno. Quando il Governo Macri decise di agganciare le pensioni all’inflazione sostituendo gli aumenti periodici dei precedenti Governi kirchneristi, si rischiò l’occupazione del Parlamento da parte dei manifestanti (ovviamente sponsorizzati politicamente al punto che molti partecipavano dietro pagamento di stipendi veri e propri) e tonnellate di pietre ricavate distruggendo la bellissima piazza del Congreso colpirono le forze dell’ordine che contrastavano questi vandali, arrivati addirittura a utilizzare un bazooka fatto in casa per lanciare proiettili incendiari.
Arriva il nuovo Governo e che si fa? Le tasse registrano aumenti anche del 70%, le pensioni vengono bruscamente tagliate ed è eliminata la “scala mobile” inflazionaria, i prezzi dei generi alimentari vanno alle stelle, nonostante i controlli e le minacciate sanzioni alle catene di vendita (poi mai attuate), gli stipendi vengono congelati… insomma, Fernandez si dimostra più neoliberalista del suo predecessore, ma magicamente, nonostante la rabbia sia generale, sia i sindacati che le organizzazioni sociali non fanno la minima protesta, accettando in pratica condizioni molto peggiori che nel passato.
Inizia a questo punto un classico del kirchnerismo: l’invenzione di “balle spaziali” che fanno apparire (specie in un documentario fatto dal ministro della Cultura, il regista Tristan Bauer ultrakirchnerista) l’eredità ricevuta da Macri come un’Argentina composta solo di terra bruciata. Cala il silenzio sulle innumerevoli infrastrutture create dal macrismo, in alcuni casi distrutte da parte di aderenti a sindacati corporativi (gran maggioranza in Argentina) che hanno provveduto a demolire una linea ferroviaria (la Belgrano) dedicata alle merci che era entrata in aperta concorrenza con il più caro trasporto su camion. E, guarda caso, oggi la Provincia di Buenos Aires governata dal “duro e puro” Axel Kiciloff (quello che da ministro dell’Economia della Kirchner pagò per restatalizzare imprese come la petrolifera YPF cifre astronomiche e anche debiti con il Club de Paris a percentuali folli) potrà pagare integralmente la prima rata del suo debito con fondi internazionali proprio perché la passata gestione di Eugenia Vidal non ha lasciato le casse vuote, come succedeva da 60 anni con Governi peronisti.
La problematica più importante che riguarda il Paese è quella del pagamento al Fmi del debito contratto da Macri: se l’ente non farà all’Argentina uno sconto di almeno il 40% sugli interessi, il Paese rischia il default, anche perché non essendoci più le commodities (specie la soia) che negli anni Novanta e fino a non molto tempo fa portarono entrate di fiumi di denaro allo Stato (ma che a differenza del Brasile non vennero utilizzati per lo sviluppo del Paese, bensì per alimentare il mercato della più gigantesca corruzione della storia e per foraggiare uno Stato “Babbo Natale”), in pratica l’Argentina entrerà in default e questa volta senza possibilità di uscita. Una situazione peggiore di quella della Grecia e dell’Ucraina.
Per questo, non potendo giocare carte economiche con una nazione in cui solo misure estremamente drastiche sui cambi hanno affievolito un poco i dati dell’inflazione, Fernandez si è rivolto al suo unico “alleato” possibile a livello internazionale e cioè al Papa. Che è intervenuto non solamente con un incontro svoltosi il 31 di gennaio in Vaticano, ma addirittura organizzando un congresso ad hoc sull’economia e la povertà il 5 febbraio presso l’Accademia delle scienze vaticana con la partecipazione, guarda caso, di Kristalina Georgieva, la direttrice del Fmi. Ma poi nella successiva conferenza stampa presso l’Ambasciata argentina in Vaticano, dopo la visita, Fernandez ha commesso due errori incredibili, negando che nei suoi incontri vaticani si sia affrontato il problema della legge sull’aborto (che in marzo dovrebbe essere approvata dal Parlamento) e della corruzione, subito smentito da un comunicato della Santa Sede che invece includeva i due temi.
L’altro errore si è registrato con le autorità italiane: la visita al Presidente Mattarella e al Primo Ministro Conte, in un primo momento stabilita il 3 di febbraio, è poi stata anticipata al 31 gennaio con una scappatina al Quirinale a salutare le due cariche dello Stato Italiano. Incredibile da parte di un personaggio che con Merkel e Macron si è fermato due giorni ciascuno. D’accordo, l’Italia conta sempre meno nello scacchiere internazionale, ma è anche il Paese dove hanno origini, pure lontane ma le hanno, ben 24 dei 43 milioni di argentini ed è anche la nazione che più si è offerta concretamente di aiutare l’economia del Paese sudamericano a risorgere con accordi poi messi in pratica. A complicare le cose è poi intervenuta Cristina Kirchner con le sue demenziali offese al nostro Paese, altro classico che dimostra ormai la spaccatura interna del “Frente de Todos”.
Il problema principale attuale dell’Argentina, lo ripetiamo, riguarda il pagamento del suo debito con il Fmi. In un ente che ormai è cambiato ed è molto differente dagli anni ’70 (quelli in cui le proteste dei centri sociali continuano a collocarlo, dimostrando che l’Argentina vive nel passato) l’ultima parola, visto che è quello che detiene la quota più alta, spetta agli Usa. E ovviamente, tanto per rispettare l’attuale trend governativo, sono partiti attacchi pesantissimi contro il Fmi sia da parte del ministro dell’Economia Guzman che del kirchnerismo: posizione condivisa pure dal Presidente. Ora la situazione si fa veramente difficile, visto che gli Usa hanno a disposizione il tasto per mettere l’Argentina in ginocchio: ma anche in caso di una dilazione dei pagamenti del debito (difficile a questo punto vista anche la debole posizione dell’Ue nel Fondo e le continue provocazioni del Governo argentino) Alberto Fernandez dovrà giocoforza mostrare finalmente la faccia e togliersi la maschera di Governo di solidarietà che già, dal punto di vista concettuale, si è rivelato fin dalle sue prime mosse, per trasformarsi in un Macri all’ennesima potenza o, se preferite, in un novello remake del Tsipras greco. Ma che fare con una Cristina Kirchner che ormai comanda le principali leve del suo Governo come mai accaduto nella storia argentina?
Agli Usa la pasionaria alleata del populismo venezuelano e dell’Iran, oltretutto con dei carichi processuali che anche la morte del Giudice Bonadio, suo principale accusatore, non potranno cancellare, non è proprio di loro gradimento e non vedono di buon occhio anche gran parte di un Governo che piano piano reinserisce funzionari del kirchnerismo con processi pendenti addirittura per complicità nel traffico di efedrina (Anibal Fernandez è stato appena nominato presidente dell’Ente carbonifero Nazionale).
Insomma, pure se il Papa riuscisse nel miracolo finanziario, rimettere in sesto il Paese significherebbe per forza di cose una ristrutturazione feroce, visto che lo Stato dovrà per forza tagliare gran parte di un bilancio che serve solo a provocare inefficienze continue e soprattutto rimettere l’Argentina con gli orologi al 2020, invece che al 1975. Vista la situazione è probabile che in marzo si convocherà un Governo di emergenza, alleando il peronismo ortodosso (parte del Frente de todos) con un’opposizione finalmente unita: a questo punto il kirchnerismo passerebbe a un’opposizione debolissima nei numeri. Visione non improbabile, considerando il fatto che i 4 incarichi istituzionali più importanti dell’Argentina, dopo il Presidente, sono fortemente in mano del kirchnerismo più acceso.