Lo sciopero generale del 24 gennaio che avrebbe dovuto bloccare l’intera Argentina, organizzato dalla CGT (Confederacion General del Trabajo) contro il Governo di Javier Milei, colpevole di “impoverire” il Paese (sic!), è miseramente fallito, ottenendo un misero 4% di partecipazione.
Di certo la manifestazione principale che ha radunato nella storica Plaza De Mayo di Buenos Aires ben 50.000 persone non sarebbe da sottovalutare, ma le modalità di partecipazione della gente sono state quantomai dubbie e dovute al fatto che il sindacato da una parte abbia costretto molti lavoratori alla presenza, mentre dall’altra abbia goduto del “rinforzo” dei movimenti sociali, i cui aderenti vengono da anni non solo costretti ma anche pagati per presenziare agli eventi. Il fatto è che, nella pratica, pure le minacce apertamente urlate da dirigenti sindacali nei loro discorsi e che hanno investito sia il Presidente che il ministro dell’Economia Luis Caputo hanno fatto capire come la gran parte del Paese rifiuti il ripetersi della storia che, puntualmente, accade quando il potere non è nelle mani del perokirchnerismo.
Difatti nel corso dei 40 anni di democrazia il solo Governo di Mauricio Macri ha potuto terminare il suo mandato, mentre sia l’iniziale di Alfonsin che quello di De La Rua nel 2001 sono stati costretti alle dimissioni dalle catene di scioperi generali e manifestazioni orchestrate da chi, evidentemente, ha della democrazia stessa un concetto ristretto al solo suo potere.
Questa volta le cose, però, sono andate piuttosto male e pare che, se l’attuale dicastero non combinerà errori colossali, il cambio questa volta non potrà essere più influenzato da eventi come quello di lunedì scorso.
Ci sono difatti molti punti da considerare nell’intera questione: in primis, il fatto che è in corso una vera e propria guerra sotterranea tra peronismo e kirchnerismo che sentono ormai un cambio atteso da oltre 40 anni alle porte. E stanno facendo di tutto per smarcarsi specie dalle indagini che ormai sono state decise dal Governo contro la corruzione e che apriranno le porte a processi largamente attesi, che dispongono di tonnellate di prove sempre più contundenti nello smascherare un potere politico-sindacale che ha portato l’Argentina al baratro attuale.
Ma c’è anche da registrare la questione che il cammino dei Decreti di Necessità e Urgenza sottoposti al vaglio del Parlamento stia proseguendo celermente, anche se con modifiche in punti essenziali che riguardano le politiche economiche, secondo noi per una tattica applicata a priori e che, in parole povere, ha puntato a 100 per ottenere i 50 previsti, in pratica riducendo, specie a livello temporale (ma in alcuni casi anche quantitativamente) l’effetto dei provvedimenti.
In primo luogo, gli aumenti delle pensioni non avverranno più per decreto, ma seguiranno il cammino dell’inflazione aggiornandosi a partire dal prossimo aprile. Altri provvedimenti riguarderebbero l’imposta sulle esportazioni e l’importo oltre il quale inizierebbe la tassazione dei patrimoni, la cui discussione sarà di fatto posticipata.
Milei ha poi anche annunciato che l’Argentina è molto vicina a poter dollarizzare la base monetaria, visto che la Banca centrale ha comprato in un mese circa 5 miliardi di dollari, passo molto vicino per completare l’operazione che dovrebbe raggiungere la cifra di 7.500 milioni previsti. Il tutto, però, comporterebbe un traguardo che, anche se l’inflazione ha cominciato a scendere, risulta una sfida ancora aperta e cioè il raggiungimento del pareggio di bilancio con “deficit zero”.
Ora bisogna però dire che un fatto del genere sarebbe possibile solo attraverso due fattori importantissimi: riduzione del controllo dello Stato su alcune aziende attualmente in suo possesso e aumento considerevole, anche se si suppone limitato fino al 2025, delle tassazioni.
Ma se da una parte la velocità di realizzazione dei provvedimenti sta rallentando visto il freno parlamentare ed anche la retromarcia Governativa sulla completa privatizzazione della compagnia petrolifera YPF (immersa in un gravissimo problema che obbligherebbe lo Stato a sborsare 16 miliardi di dollari agli ex proprietari privati, mandando in pratica in fumo l’intero piano), dall’altra occorre procedere celermente perché c’è il rischio di un’iperinflazione colossale che, originata dalle politiche suicide del perokirchnerismo (che ha sulla coscienza pure il caso YPF) negli ultimi 4 anni, pioverebbe sul Paese distruggendolo totalmente.
È chiaro che la corda tesa tra Governo e un’opposizione che in Parlamento, specie nella Camera dei deputati, conta sull’appoggio parziale di ex alleati dell’attuale potere, deve per forza allentarsi per evitare che l’Argentina possa fondersi, cosa ovviamente della quale nessuno vuole avere la responsabilità: ecco perché il pensiero a una manovra governativa pensata a tavolino come tattica per arrivare a un “ipotetico” compromesso (che mai è stato nella testa del ministro dell’Economia) può rappresentare la soluzione ideale per raggiungere l’obiettivo, davvero considerevole ma più a portata di mano di quanto non si creda, di risolvere il disastro economico (e non solo) ereditato: con sindacati che per 4 anni non hanno mosso un dito per combatterlo. E questo la gente l’ha capito.
La svolta è possibile, ovviamente a prezzo di sacrifici, ma l’Argentina pare proprio essere pronta a scrollarsi di dosso tutto il peso di poteri che non dovrebbero più ostacolare il suo cammino verso un cambiamento epocale. E l’interesse che le politiche, oltre ai discorsi, di Milei, che vengono dibattuti e considerati globalmente dimostra che il cammino, se perseguito e portato ala soluzione, potrebbe essere da esempio all’intero mondo occidentale… e non solo.
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