Che l’Argentina sia un Paese alquanto originale per le cose che vi capitano, spesso testimoni della metafisica che qui ha incontrato, con Borges, il fondatore a livello letterario, i lettori de Il Sussidiario lo sanno da tempo. E così mentre alla riunione dei Presidenti del Continente americano Alberto Fernandez rappresenta e prende le difese di Paesi come il Venezuela, il Nicaragua e Cuba, retti da dittature e per questo non invitati al simposio, confermando ancora una volta come l’Argentina sia attratta da questi regimi, nello stesso Paese la pubblicazione di un libro apre le porte a una ricerca della verità su uno dei più nefasti attentati compiuti dal gruppo terrorista “Montoneros” negli anni Settanta.
La pubblicazione di “Masacre en el comedor” (Massacro nella mensa, Editorial Sudamericana) del famoso giornalista argentino Ceferino Reato ha scatenato una reazione e un successo tale in tutto il Paese da far riaprire un caso che, come molti altri che hanno per protagonista la violenza di gruppi terroristici, sono stati letteralmente buttati nel dimenticatoio di una nazione che spesso li ha esaltati attribuendoli a personaggi che combattevano per la libertà dall’oppressione della dittatura, quando invece gli oltre 12.000 attentati con 4.000 bombe che hanno provocato 2.000 morti e ferito, spesso gravemente, 17.000 persone, effettuati dal 1969 al 1975 sono stati proprio la causa che spinse i militari a organizzare un golpe contro il debole Governo di Isabel Martinez de Peron, nel 1976.
Il fatto è che i crimini commessi dai terroristi finora non sono stati puniti perché considerati erroneamente caduti in prescrizione, mentre quelli dei militari, agli ordini di uno Stato, no. Si tratta in verità di un’interpretazione alquanto assurda, perché non supportata internazionalmente nemmeno dalle Nazioni Unite, che li considerano crimini di lesa umanità e quindi perseguibili e non prescrivibili.
Ma cosa accadde quel triste giorno del luglio 1976 a Buenos Aires? Lo abbiamo chiesto direttamente all’autore del libro, Ceferino Reato, uno di migliori giornalisti argentini, autore anche di altri testi che hanno reso una versione storica dei fatti di una decade terribile, quali furono gli anni ’70 in Argentina, ma non solo.
«Il 2 luglio del 1976 – ci spiega – il gruppo guerrigliero “Montoneros” mise una bomba nella sala mensa della Polizia Federale, in pieno centro, a Buenos Aires. Era l’ora di pranzo, motivo per il quale risultava piena. L’attentato causò 23 vittime e 110 feriti ed è stato il più sanguinario operato dal terrorismo e anche della storia argentina, almeno fino a quello della mutua Ebraica AMIA, operato nel 1994 (a opera del terrorismo palestinese, ndr). La mensa era aperta a tutti, non solo ad agenti, per cui tra i morti, oltre ad agenti comuni, figurarono un’impiegata dell’impresa petrolifera Argentina YPF, un cameriere, un pompiere, un infermiere e il cassiere del locale, oltre al direttore dello stesso. La bomba venne collocata da un agente di polizia di 21 anni che però faceva parte del Servizio Informazioni dei guerriglieri, agli ordini del famoso giornalista Rodolfo Walsh, molto famoso in Argentina, che aveva lasciato i libri per convertirsi in un combattente rivoluzionario. L’attentato fu rivendicato dai “Montoneros” con l’argomento che, in questo modo, pensavano di frenare la repressione illegale della Dittatura, che aveva conquistato il potere il 24 agosto del 1976 e anche dimostrare alla gente che il chiamato “Esercito Montonero” possedeva una capacità sufficiente non solo per resistere ai militari, ma anche per conquistare il potere attuando la Rivoluzione Comunista o Socialista».
Poi le indagini portarono alla cattura dei colpevoli, che però non vennero condannati..
L’autore materiale dell’attentato fu scoperto rapidamente perché scappò sei minuti prima dell’esplosione della bomba, abbandonando allo stesso tempo la sua funzione di polizia. Fu catturato dopo alcuni mesi e selvaggiamente torturato: rivelò dati importanti che portarono all’immediata uccisione di Rodolfo Walsh, i cui resti non sono mai stati trovati. Poi lo stesso agente doppiogiochista, il cui nome era José Salgado, venne assassinato. I militari non hanno mai voluto che la giustizia investigasse l’attentato perché secondo loro l’attuazione dello stesso li aveva messi in ridicolo, poiché i “Montoneros” erano riusciti a penetrare una fortezza della polizia. Preferirono la caccia selvaggia ai colpevoli, anche se non riuscirono a prenderli tutti: per esempio Mario Firmenich e Roberto Perdia, due dei capi che ordinarono l’attacco sono vivi e liberi. Uno abita a Barcellona, l’altro a Buenos Aires. Successivamente, una volta tornata la democrazia in Argentina, nessuno dei Governi ha voluto indagare sull’attentato: il primo Presidente, Raul Alfonsin, ordinò di processare tanto i militari come i terroristi. Ma quello seguente, Carlos Menem, decise per un’amnistia generale e poi Nestor Kirchner ottenne che la Corte Suprema di Giustizia, che era stata rinnovata da lui, cancellasse l’amnistia solo ai militari e non ai guerriglieri, che rimasero in libertà. Venne usato l’argomento che gli unici delitti considerati di lesa umanità sono quelli operati dai militari, mentre quelli commessi dai guerriglieri no perché questi non operavano al servizio dello Stato e già erano caduti in prescrizione col passare del tempo.
In Italia, dopo più di 50 anni, gli ex terroristi continuano ad essere condannati e ricercati per i delitti commessi. Come mai in Argentina si è continuato fino a oggi con delle interpretazioni molto discutibili e solo ora si torna a pretendere una piena giustizia?
L’interpretazione di Nestor Kirchner che favoriva la guerriglia, della quale sia lui che la moglie Cristina Fernandez de Kirchner si considerano gli eredi sia politici che sociali, chiamandoli “militanti” invece di terroristi, fu avvallata dall’opposizione in un momento di grande consenso al kirchnerismo, coincidente con i suoi inizi. Oggi questo consenso sociale è decisamente evaporato, però l’opposizione non si anima tuttora a indagare profondamente su quella tragica epoca.
(Arturo Illia)
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