Com’era logico attendersi, il 3 luglio si è dimesso il ministro dell’Economia argentino Martin Guzman. In pratica il gesto è stato imposto dalla Vicepresidente Cristina Kirchner, che, come scriviamo ormai da tempo, esercita di fatto la funzione presidenziale fin dall’inizio del mandato di Alberto Fernandez.
Guzman è stato il protagonista del rifinanziamento del colossale debito argentino di 45 miliardi, ottenendo pure una sostanziale delazione dei pagamenti: ma ciò non è servito a evitarne il siluramento, perché l’atto rientra nel piano della Kirchner di puntare direttamente alle dimissioni del Presidente per poterne prendere il posto in un suo terzo mandato. E di conseguenza evitare che la giustizia argentina operi nei suoi confronti iniziando da una causa per corruzione nelle opere pubbliche che fa parte dei 10 processi che finora ha potuto evitare grazie all’immunità di cui gode come Vice: ma ormai il suo Movimento, Frente de Todos, non ha più i numeri per evitare la richiesta di annullarla.
Il posto di Guzman è stato occupato immediatamente da Silvina Batakis, un’economista di origini greche, cosa che appare quasi uno scherzo del destino, viste le disastrose avventure della Grecia dovute al debito che ormai datano da tempo immemorabile, pur se al giorno d’oggi si sono ovviamente alleviate.
Super Cristinista (ma non c’erano dubbi, visto il procedere della questione) Batakis è famosa in Argentina perché quando occupò lo stesso incarico durante il Governo di Daniel Scioli nella Provincia di Buenos Aires (dal 2011 al 2015) consegnò a chi le succedette non solo le casse completamente vuote, ma anche mancati pagamenti di opere pubbliche e stipendi.
La sua filosofia economica è legata a Cuba e dintorni ed è, ovviamente, fortemente critica dell’ideologia liberale: la sua prima manovra sarà incentrata sulla stampa di banconote a pieno ritmo, ovviamente non suffragata dalla disastrosa situazione della Banca centrale con un’ulteriore manovra suggerita (ma sarebbe meglio dire imposta) da Cristina Kirchner che è l’implementazione dello “Stipendio Universale”, in pratica un ulteriore sussidio per tutti che impoverirà ulteriormente le casse di uno Stato che già a breve rischia un default senza soluzione.
Difatti già dopo il defenestramento di Guzman (effettuato in una giornata di chiusura delle banche negli Usa) il dollaro è ormai valutato l’iperbolica cifra di 255 pesos: si pensi che in piena Presidenza Macri (2015-2019) si organizzarono tumulti di piazza, trasmissioni televisive con conduttori piangenti e altrettanto violente proteste sindacali accusando l’ex Presidente di impoverire la gente con un dollaro a 49 pesos. Nel disastro attuale del populismo kirchnerista invece tutti zitti.
Penso che in Italia si dovrebbero seguire più da vicino i vari disastri che la cultura populista ha provocato in America Latina, perché purtroppo ne stiamo seguendo le orme, iniziando dal Reddito di cittadinanza fino al bonus di 200 euro per affrontare la crisi dovuta all’aumento delle tariffe energetiche. Viene naturale chiedersi come mai il Governo non operi contro le aziende produttrici di energia che ormai (è chiaro a tutti) hanno aumentato a cifre spaziali i prezzi con la scusa della guerra in Ucraina quando invece ancora non si registravano gli effetti, con tariffe portate da 0,25 centesimi a 1,30 euro, per esempio, nel prezzo del gas.
Purtroppo questi provvedimenti chiaramente populisti servono solamente per instaurare, alla fine, un voto di scambio con vere e proprie elemosine sociali e permettere il proseguimento a classi politiche che creano solo danni ai Paesi. Valga una volta per tutte l’esempio del Cile che in appena pochi mesi di Presidenza del “rivoluzionario” Boric ha conosciuto, tra le varie cose, anche il ritorno di un’inflazione altissima che da 40 anni non si registrava.
Altro fattore che accompagna questi fenomeni (e che sta succedendo pure da noi in Italia) è la distruzione della cultura del lavoro, per il semplice motivo che è preferibile per moltissimi ricevere una questua senza far nulla e poi operare per cercare attività lavorative in nero, quindi alimentando l’irregolarità.
Ma torniamo all’Argentina: ieri erano in programma manifestazioni massive in tutto il Paese per opporsi a quello che in moltissimi considerano l’ultima possibilità per salvare il Paese dalla distruzione del populismo. E non hanno assolutamente torto, anche se, all’interno dello stesso Frente de Todos ci sono ormai proteste contro la stessa Kirchner: ma nel giro di pochissimo sapremo veramente se il disastro accadrà, in un Paese ricchissimo che, ormai, da più di 70 anni passa da una crisi all’altra attanagliato dalla promessa di un benessere generale che però aumenta in forma considerevole la sua povertà.
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