E così la settimana scorsa due giorni di caos con manifestazioni hanno ancora una volta occupato le strade di Buenos Aires, ma in questa occasione il tutto ha avuto come motivo l’arrivo del Fondo monetario in Argentina e la protesta è stata contro il progetto di riforma delle pensioni e le manovre che il Governo ha annunciato per andare incontro alle richieste dell’organismo internazionale. Ormai veramente non si capisce più nulla e di certo sia il Presidente Alberto Fernandez che i suoi collaboratori fanno a gara per rendere ancor più indecifrabile (almeno in apparenza) il motivo di certe decisioni: ma andiamo per ordine.



L’Argentina ereditata da Macri nel 2015 aveva superato i limiti del disastro dopo 15 anni di gestione kirchnerista, e non solo per il record della corruzione più grande della sua storia, valutata in 35 miliardi di dollari, ma pure per le casse di uno Stato quasi vuote. Piccolo particolare in aggiunta a ciò: il pagamento di debiti contratti dall’Argentina non solo con il Venezuela di Chávez al 17% di interesse, ma pure con un gruppo di banche con percentuali simili. Per poter effettuare l’operazione di saldo soprattutto del secondo debito in scadenza o si trovava qualcuno disposto a prestare soldi con tassi minori o si prosciugavano le casse dello Stato definitivamente e quindi addio pure ai progetti di costruzione delle infrastrutture necessarie all’Argentina per contare economicamente in forma direttamente proporzionale al suo potenziale: opere in alcuni casi già pagate dallo Stato ma mai realizzate e i cui fondi erano finiti nelle casse kirchneriste.



Ed ecco farsi avanti il Fmi con un’offerta rilevante al 4% di interesse, occasione presa al volo e che ha permesso non solo di saldare il debito, ma anche di iniziare molte opere. Ma il solo nome Fmi evoca, nella distorta apologia degli anni ’70 argentini, l’immagine di un mostro depredatore e affamatore del popolo che con i suoi prestiti riduceva al lastrico le nazioni. Ci si dimenticava che, lungi dall’essere un’organizzazione di beneficenza, il Fmi in questi anni ha cambiato molte delle sue politiche e che non tutti i soldi da lui elargiti sono finiti per finanziare il progresso delle nazioni ma spesso hanno alimentato la corruzione. Ma il suo arrivo a Buenos Aires ha fatto resuscitare le vecchie balle spaziali anni ’70, dimenticandosi che il seppur deprecabile Governo di Macri (giudicato neoliberale ma con la spesa sociale più grande della storia del Paese) aveva dovuto aprire il debito proprio per i disastri combinati durante la conduzione di chi ora protesta. Con un altro particolare curioso: l’Argentina non solo (dietro le pressioni di Papa Francesco) ha ottenuto dilazioni e sconti sul pagamento, ma, udite udite, ha chiesto un nuovo prestito per potere affrontare il caos economico attuale. Insomma, gli stessi governanti del “Frente de Todos” kirchnerista e peronista, eterni nemici del Fmi, non hanno trovato di meglio da fare che cadere nelle stesse logiche dell’odiato Macri.



Ovvio che la missione del Fondo è arrivata a Buenos Aires a proporre un piano di sacrifici e austerità nazionale per poter pagare l’enorme debito, cosa a cui il Governo ” Nacional y Popular” ha immediatamente risposto attuando tagli non solo alle pensioni, ma pure ai sussidi alla povertà e all’Ife (il fondo che dovrebbe aiutare le attività commerciali danneggiate dal Covid-19). E puntuali sono arrivate le proteste non solo contro il Fmi, ma pure contro i tagli effettuati, che per due giorni hanno seminato il caos a Buenos Aires.

Curiosa la faccenda dei tagli alle pensioni: una delle hit della campagna di Alberto Fernandez alla Presidenza, evocata fino alle urla, era quello della difesa dei deboli, soprattutto dei pensionati. Detto fatto, appena arrivato al potere ha immediatamente abolito la clausola che legava l’attualizzazione delle pensioni all’inflazione e la sua sostituzione con un aumento governativo per decreto che, ovviamente, ha immediatamente ridotto il loro valore di almeno il 60% e ora inventandosi due aumenti irrisori, quindi un altro sistema ancor più peggiorativo. Per non parlare dei tagli ai sussidi e all’Ife: se i primi dovranno essere sottoposti a un’importante analisi di sistema perché vere e proprie elemosine (che spesso però con vari bonus raggiungono e superano stipendi di attività lavorative) in cambio del voto e che quindi mantengono la povertà invece di tentare di combatterla, le classi colpite dalla cancellazione del pagamento dell’Ife sono invece quelle realmente lavorative, per le quali gli 8 mesi di quarantena dura hanno spesso significato la perdita del lavoro.

Insomma, un Governo che risponde pienamente ai criteri del kirchnerismo: difatti Nestor Kirchner quando incontrava gruppi di industriali e banchieri che reclamavano per espressioni contro le loro categorie nei suoi discorsi, soleva ripetere: “Non ascoltate quello che dico ma osservate poi quello che faccio”. Principio che il suo collaboratore politico più fedele, Alberto Fernandez, ha applicato alla lettera.

A proposito, ma i sindacati e i rappresentanti dei centri sociali, che durante il quadriennio macrista bloccavano quotidianamente Buenos Aires contro le riforme di un Presidente che poi alla fine sono risultate essere più populiste delle attuali, che fine hanno fatto? Paiono scomparsi davanti a politiche che colpiscono le classi più deboli, ma ormai condividono il potere con il Governo, che ha elargito incarichi con sostanziosi emolumenti ai loro capi, dimostrando ancora una volta quanto l’arricchimento personale alla fine sia l’elemento più importante di questi rivoluzionari molto radical-chic.