Come ormai noto, in Argentina venerdì scorso una coppia di italiani è stata bloccata all’aeroporto di Buenos Aires mentre si stava imbarcando su di un volo Air France, cercando di rientrare in Italia con una bambina nata da una gravidanza surrogata. I due nostri connazionali (un oncologo che lavora a Padova e il suo compagno) hanno successivamente dichiarato di aver concordato la gravidanza con una donna che vive nella città di Rosario, che si trovava anch’essa nello scalo argentino.
“Faremo di tutto per poter tornare in Italia con il nostro bambino”, è stata una delle dichiarazioni della coppia raccolte dalla stampa locale, che ha dato molto risalto a questo fatto che di per sé mi ha colpito particolarmente per tre motivi. Il primo concerne una questione assolutamente etica, nel senso che considerare come “nostro figlio” un essere umano vittima di una mercificazione sia della sua persona che del ventre della madre è semplicemente aberrante, ma rientra in un mondo dove ormai logica, natura e codici di umanità sono vittime sia della percezione che del puro business.
La seconda ragione è legata al fatto che un magistrato argentino sta indagando su ben 147 casi simili, tutti legati a un’organizzazione che di fatto si occupa della tratta del ventre: ma la terza riguarda anche una mia personale esperienza di più di 25 anni fa e la sorpresa nel constatare come solo oggi i media scoprano una tratta che, almeno in Argentina ma anche in tanti Paesi afflitti dalla povertà, dura, lo ripeto, da lustri.
È risaputo e lo scrivo da anni, che l’Argentina è un Paese dove si registrano indici di povertà notevoli, ma in quest’ultimo decennio c’è un dato che fa rabbrividire: quello dell’indigenza infantile, che raggiunge il 61%: stiamo parlando di una nazione che fino al 1947 era una potenza economica mondiale e possedeva la quarta riserva d’oro del mondo. Come sia riuscita nell’impresa di arrivare a uno sfascio già dal 1953 i nostri lettori lo sanno benissimo, ma, come ripeto, già più di due decenni fa scoprii, per pura casualità, questo mercato, o per meglio dire tratta, di esseri umani. E l’occasione fu quella di pensare, con la mia allora compagna, a un’adozione visto che, a causa di un tumore, non potevo avere figli.
Nei nostri contatti un giorno ci imbattemmo in una vicina di Buenos Aires che ci raccontò invece come fosse facilissimo diventare genitori di un “nostro” pargolo senza ricorrere alla medicina, ma solamente a una persona che viveva nel nord dell’Argentina che avrebbe organizzato tutto senza problemi. Dovevamo solo prendere una precauzione: la mia compagna avrebbe dovuto iniziare a mettersi un cuscino sul ventre per fingere una gravidanza. Per farla breve, dopo un certo tempo ci saremmo dovuti recare nel luogo pattuito (nella Provincia di Salta, se ben ricordo) a prendere non solo il nascituro, ma pure un certificato che attestava l’avvenuto parto della mia compagna. Con la quale, finito il “metafisico” racconto, ci guardammo in faccia e, senza dire la benché minima parola, troncammo la discussione.
Ora il fatto attualmente accaduto mi ha fatto rinascere questi ricordi, ma pure il tristissimo pensiero di come di fatto l’adozione non venga quasi più proposta come giusta soluzione alla problematica dell’abbandono infantile e atto di amore, mettendo viceversa in piedi un’organizzazione diffusa nel mondo intero che invece propone uno squallido mercato quasi che un essere umano possa essere equiparato a un prodotto commerciabile via web con specifiche richieste (colore della pelle, capelli, occhi a mandorla e chissà quanti altri possibili optional)… manca ormai solo l’emissione di una ricevuta fiscale e il diritto di recesso dall’acquisto.
È una distruzione di valori che, se non fermata con un ritorno alla logica della natura, porterà di sicuro problemi gravissimi all’essere umano. Con buona pace di tantissimi che invece, in nome di un presunto progresso e di una cultura radical-chic francamente liberticida, auspicano leggi che, viceversa, regolarizzino il “mercato”.
Mi viene anche il dubbio che quando Oscar Wilde scrisse, in uno dei suoi tanti “aforismi”, “Più conosco l’essere umano, più amo gli animali”, predicesse qualcosa che poi sarebbe diventato un pensiero comune a molti.
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