Mentre Mauricio Macri ha ufficialmente annunciato la sua rinuncia a partecipare alle prossime
elezioni e la situazione dell’Argentina si fa sempre più catastrofica, con un’inflazione ormai del 103% annuo (record dopo quella venezuelana) al punto che il Governo, attraverso un ministro dell’Economia molto discusso (Sergio Massa un politico criticato da anni per i suoi continui cambi di “casacca”) decide di convertire gran parte dei fondi dell’Anses (l’Inps argentino) in bond in dollari per aiutare un settore pubblico ormai distrutto (a danno dei già poverissimi pensionati pure loro già abbondantemente vessati dal Governo kirchnerista), un sondaggio sulle prossime elezioni presidenziali di ottobre rivela un dato che fino a poco tempo fa sembrava impossibile anche nei sogni.
In pratica ai “classici” sfidanti di Juntos por el Cambio (gruppo diretto da Macri) e del Frente de Todos dell’attuale Governo si aggiungerebbe, con eguali percentuali (ossia tra il 25% e il 29% dei voti) Javier Milei, un personaggio mediatico un po’ fuori dalle righe che, detto tra noi, ricorda moltissimo un comico che d’un tratto si dette alla politica in Italia.
La cosa è sorprendente davvero e a questo punto mi risulta difficile decifrare se sia l’Italia ad argentinizzarsi o l’Argentina a italianizzarsi politicamente: anche perché oltre il 65% degli intervistati si è rifiutato di rispondere e di indicare il proprio eventuale candidato, percentuale molto vicina a quel 67% di astensione che ha di fatto provocato l’ascesa del Governo Meloni in Italia.
Cinquantaduenne (è nato nel 1970), Milei è un economista che nel corso della sua carriera ha presieduto diverse società di consulenza private e ha anche insegnato all’università per più di vent’anni, ma, allo stesso tempo si è dedicato ai media radiofonici per poi approdare, a causa del suo stile urlante, arrabbiato e dotato di un linguaggio spesso violento nella sua espressività, ai media televisivi che hanno iniziato a invitarlo sempre più spesso, fino a diventare insostituibile specie in una televisione fatta di litigate e urla, curiosamente definiti dibattiti…
Si definisce un “anarco-capitalista” e nel suo ideale lo Stato dovrebbe solo amministrare la giustizia e garantire la sicurezza: al resto dovrebbe pensarci il capitale privato. Critico nei riguardi della Banca centrale (che vorrebbe abolire perché la ritiene un’organizzazione criminale che ruba ai poveri) non può sopportare la casta politica argentina (ergo i suoi avversari) e il suo slogan preferito è “Non sono venuto per guidare pecore ma per risvegliare leoni!”. Nel 2021 svolse la sua campagna elettorale indossando un’uniforme militare (con tanto di giubbetto antiproiettile) e promettendo di non votare mai una legge che prevedesse l’aumento delle tasse.
Eletto come deputato, si è poi distinto per un’iniziativa alquanto “populista”, ma pure furbamente mediatica (in una nazione disastrata): quella di donare i suoi stipendi parlamentari alla gente, attraverso una riffa basata sui numeri che identificano le carte d’identità. Insomma, un personaggio decisamente fuori dalle righe, che è riuscito a conquistarsi un terzo dei sondaggi e che rivela come l’Argentina (tale quale l’Italia) non sa più a che Santo votarsi per uscire dall’inferno attuale.
Da anni sosteniamo che il peronismo abbia rappresentato per questo bellissimo e ricchissimo Paese un cancro che lo ha portato da essere quarta potenza mondiale per le sue ricchezze e le riserve d’oro nelle casse dello Stato a trasformarsi in una delle nazioni con il più alto indice di povertà del mondo: la cosa che colpisce chi visita e conosce l’Argentina è scoprire come mai, nonostante l’elevato tasso intellettuale e culturale a disposizione, le masse facciano fatica a capire che da una crisi provocata da una corruzione incredibile e da uno Stato governato da persone senza alcuna capacità nei differenti settori (vi ricorda qualcosa?), ma solo “tessera politica”, si possa uscire solo affrontando comunemente sacrifici che possano con il tempo restituire il benessere.
Invece si iniziano processi di questo genere, operati da gruppi politici non peronisti, e il peronismo, unito a una certa “sinistra” prêt-à-porter, attraverso una complicità mediatica assoluta, inizia bombardare l’opinione pubblica con slogan inneggianti il disastro, presentandosi come il mago con la bacchetta magica in grado di restituire il benessere in quattro e quattr’otto.
Esempio classico di questo fatto che, lo ripetiamo, dura ormai da 70 anni (di cui 50 di democrazia) è quando, nel Governo gestito da Macri, il Parlamento votò nel 2017 un decreto che eliminava gli aumenti forfettari operati una volta ogni tanto sulle pensioni per sostituirli con emolumenti legati all’inflazione (e quindi sempre attualizzati). Oltre a proteste che sfociarono in un assalto al Congreso de la Nacion con scontri violentissimi e lanci di pietre, gruppi di artisti e intellettuali registrarono uno spot (diffuso a più non posso) con lo slogan ” Con i pensionati no!”. Bene… ciò ha poi provocato (unita ad altre cause) la sconfitta del partito macrista di Juntos por el cambio alle elezioni del 2019 e l’ascesa del peronismo al potere con Alberto Fernandez come Presidente e Cristina Kirchner come vice. Risultato? Negli ultimi tempi di Macri il cambio con il dollaro era di 40 pesos e il tasso di inflazione sopportabile: oggi il primo dato è arrivato vicino a 400 e l’inflazione è al 103%… pensionati alla fame e l’Argentina è fallita (in pratica) e per fare la spesa o anche consumare un pasto in un ristorante bisogna caricarsi mazzi di banconote di un peso notevole… proprio come in Venezuela.
Ecco qui che, in questo inferno, può anche sorgere un personaggio come Milei quale candidato e puntare decisamente, a novembre, alla casa Rosada. E non appare affatto strano che i suoi modi di fare e di esprimersi conquistino soprattutto un elettorato giovane con una grande voglia di rompere gli schemi in una società che (come quella italiana d’altronde) non gli prospetta un futuro degno di questo nome: e difatti, come da noi in Italia, moltissimi fuggono dall’Argentina per cercare fortuna in un “primer mundo” (come lo amano definire) immerso sì, pure lui, in una crisi, ma che in alcuni Paesi apre le porte alle nuove generazioni e alle loro idee, spesso vincenti.
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