Il terremoto elettorale argentino di domenica scorsa rischia di produrre seriamente un effetto domino in tutti quei Paesi dell’America Latina nei quali il populismo detiene il potere. Già la situazione nella maggior parte di essi sta assumendo una gravità estrema, basti pensare al Perù, che ha operato di fatto un cambio molto profondo di regime politico dopo la caduta per scandali di vario genere di Pedro Castillo con l’assunzione della sua vice, Dina Boluarte, che però ha preso le distanze dal suo predecessore. In Colombia Gustavo Petro, che è in carica dal 2022 ed è considerato un leader della sinistra, sta attraversando, come tutto il Paese, problemi gravissimi sia per alcune sue mosse che ricordano il suo passato guerrigliero (solidarietà ad Hammas e la rottura delle relazioni diplomatiche con Israele ), sia per problemi interni e il suo coinvolgimento nello scandalo dei fondi per la sua campagna elettorale provenienti in gran parte dai narco.
Pure in Brasile Lula si trova in difficoltà mentre in Cile il populismo, al potere con Gabriel Boric, registra una sconfitta dietro l’altra a forza di referendum che, democraticamente svolti, hanno cassato in pieno le proposte di riforma della Costituzione e dopo le bocciature del precedente testo “progressista e liberista ” ora a dicembre i cileni dovranno votare un nuovo testo… di destra che si ispira a quello della Costituzione vigente. Pure il regime boliviano scricchiola parecchio e soffre non solo di una opposizione sempre più marcata allo strapotere del MAS, il partito di Evo Morales, ma pure di un processo interno al suo leader che rischia di spaccare il Governo e di andare verso elezioni anticipate.
Per non parlare del Venezuela dove la schiacciante vittoria di Maria Corina Machado come leader dell’opposizione sta di fatto bloccando l’iter legislativo per timore, in caso di elezioni regolari (cosa un po’ difficile da attuare da parte del chavismo del leader Maduro), di perderle e di conseguenza di mettere la parola fine ad oltre 20 anni di una durissima dittatura.
La botta argentina ha di fatto scardinato il tavolo nel quale i membri del Foro di Sao Paulo (la convenzione promossa da Lula e che raduna i principali leader della cosiddetta “sinistra” latinoamericana) avevano progettato e stavano per portare avanti dei cambiamenti radicali quali l’adesione ai Brics, la sostituzione del dollaro con lo yuan come moneta di riferimento, accordi profondi sia a livello politico, economico che militare con Cina e Russia e un allineamento netto nel conflitto palestino-israeliano dopo le crepe registrate in quello russo-ucraniano. Tutte iniziative alle quali l’Argentina perokirchnerista e falsamente “Nacional y Popular” del Governo di Alberto Fernandez aveva aderito.
Ma c’è da registrare che l’effetto potrebbe essere domino per il semplice motivo che domenica scorsa non si è registrata una sconfitta elettorale sia del peronismo che del kirchnerismo: c’è stato un vero e proprio referendum che ha bocciato sonoramente 40 anni di potere che hanno portato alla distruzione economica e sociale dell’intero Paese, anzi alla serie di distruzioni visto che di crisi se ne sono registrate più di una.
Stupisce la reazione dell’attuale Governo che prima accusava quello precedente del disastro attuale e ora punta il dito contro quello futuro che ancora deve assumere, dimostrazione ormai chiara di come l’esercizio di colpevolizzare gli altri, nonostante sia caduto in un’illogicità metafisica, nel peronismo continui pur di non assumersi responsabilità alcuna.
Solo che ora, visti i risultati che hanno registrato nette sconfitte pure nei potentati perokirchneristi, siamo forse arrivati a un vero e proprio cambio della guardia netto e impensabile solo due settimane fa, quando i sondaggi registravano solo un leggero vantaggio di Javier Milei. Che sembra, finalmente, essere sceso dall’aereo delle Frecce tricolori e aver interrotto le sue evoluzioni ideologiche e programmatiche per essere arrivato ad atterrare sul pragmatismo politico: con grande dolore, credo, dei commentatori un tot al chilo che ne avevano sentenziato il sicuro disastro, al punto da far concorrenza comica pure al Crozza di turno, perdonabile in quanto comico.
Come avevamo preannunciato da tempo, alla fine dei conti l’accordo stabilito con il PRO di Patricia Bullrich e Mauricio Macri inizia a produrre i suoi naturali effetti, con l’assegnazione di vari importantissimi Ministeri a persone legate al partito. La presenza di politici legati a “la Libertad que avanza” è minima proprio perché mancava una struttura in grado di occupare, con esperienza, i vari centri del potere.
È prevista, per esempio, l’importante carica di ministro dell’Economia a Luis Caputo, che già l’aveva occupata durante la Presidenza Macri, mentre Patricia Bullrich tornerà a occuparsi della Sicurezza. Ministra degli Esteri sarà l’esperta Diana Mondino, appartenente al Movimento di Milei, però circondata da funzionari macristi.
Insomma, sta accadendo quanto era facile prevedere e in un certo senso si ripete il fatidico 2019, quando la carica di Presidente fu appannaggio di Alberto Fernandez, ma in verità il potere, come tutti sanno, apparteneva alla Vice Cristina Fernandez de Kirchner. Qui il gioco prevede un Milei più profondamente radicato nella sua carica, ma con un programma molto “macrista” già definito che si basa su di un gradualismo profondo che, anche secondo noi, è l’unico modo per riportare l’Argentina ai suoi fasti, anche se attraverso sacrifici e cambi radicali che si sarebbero dovuti fare già nel 2015, ma che invece possono esserlo ora, rompendo forzatamente gli indugi passati.
Caputo ha già dichiarato che la prevista dollarizzazione dell’economia non avverrà e che la Banca centrale non verrà eliminata, ma si attueranno misure estremamente innovative ma più realistiche per affrontare una situazione nella quale, come dichiarato dal futuro Presidente, “non c’è un soldo in cassa”.
Insomma, l’Argentina per risorgere avrà bisogno di quell’unità a lungo cercata ma mai raggiunta e soprattutto, lo ripetiamo, la trasformazione integrale in Repubblica con Stato di Diritto. Insomma, tutti insieme in un cammino praticabile prendendo come esempio la propria Nazionale di calcio che ha dimostrato come anche i traguardi più alti possono essere raggiunti con la partecipazione di tutti.
“La libertà è partecipazione”, cantava il nostro Giorgio Gaber: chissà se dall’Argentina arriverà un segnale forte che anche la nostra disastrata Italia saprà recepire, visto che non siamo molto lontani da una situazione simile da quella del nostro caro “fratello” sudamericano. Speriamo di tutto cuore… ne abbiamo bisogno.
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