Lunedì 22 agosto è stata una data storica per l’Argentina: il magistrato Diego Luciani, a conclusione di un’esposizione durata vari giorni, ha chiesto che Cristina Fernandez de Kirchner sia condannata ad una pena detentiva di 12 anni di prigione, accusandola di essere a capo di un’associazione illecita, di amministrazione illegale, aggravata dalla sua condizione di funzionaria pubblica. Inoltre, durante l’ultima giornata di esposizione dei copiosi fascicoli che la accusano, Luciani ha anche sollecitato la corte che l’attuale vicepresidente argentina sia inibita permanentemente a esercitare incarichi pubblici e che gli vengano confiscati beni e capitali fino alla somma di 5,321 miliardi di pesos (circa un miliardo di dollari).



“Signori giudici, questo è il momento in cui decidere tra corruzione o giustizia!” ha concluso Luciani, visibilmente emozionato (come tutta la squadra di magistrati suoi collaboratori), un personaggio che in pochissimo tempo è diventato l’idolo di mezzo Paese, ma anche il nemico di molti, e non solo, simpatizzanti del kirchnerismo.



Difatti il giorno stesso dell’accusa che ha anche richiesto la condanna a 10 anni sia per l’ex ministro delle Opere pubbliche, De Vido, che per il suo segretario Josè Lopez e 12 anni per Lazaro Baez (l’ex impiegato di una banca in Patagonia, improvvisamente diventato un ricchissimo impresario costruttore, proprietario di vastissimi terreni nella regione) il presidente argentino Alberto Fernandez si è reso protagonista di due azioni discutibili, perché nel suo incarico non può intromettersi nella giustizia.

Dapprima ha emesso il giorno stesso un comunicato, nel quale si legge che “Il Governo Nazionale condanna la persecuzione giudiziale e mediatica contro la Vice Presidente Cristina Fernandez de Kirchner espressa oggi nell’allegato finale e la richiesta di condanna nella causa definita come ‘Viabilità’”.



“Nessuno degli atti attribuiti all’ex Presidente è stato provato e tutte le accuse si riferiscono unicamente alla funzione che ella esercitava in quel periodo (quella di Presidente della Nazione, ndr) fatto che degrada i più elementari principi del diritto penale moderno”.

Ma il presidente si è spinto addirittura più in là e durante un’intervista sul caso, nel corso della trasmissione televisiva “A dos voces” (A due voci) ha pronunciato una frase che ha sconcertato milioni di argentini: dopo aver ripetuto le sue critiche ai funzionari della Giustizia, ha infatti affermato come “Il magistrato Nisman si è suicidato: spero non accada lo stesso con Luciani”.

Alberto Fernandez si riferisce ad Alberto Nisman, un magistrato che il 18 gennaio 2015, dopo aver partecipato alla stessa trasmissione, durante la quale accusò l’allora presidente Cristina Kirchner di tradimento alla Patria per avere firmato un accordo con l’Iran (Paese accusato di essere l’organizzatore di un attentato all’Amia di Buenos Aires, l’Associazione Mutualità Israelita Argentina), discorso che avrebbe dovuto ripetere il lunedì successivo davanti ad una Commissione apposita al Congresso Nazionale, venne trovato morto nel suo appartamento del lussuoso quartiere di Puerto Madero.

La prima ipotesi fu quella del suicidio, ma molti elementi hanno poi cambiato questa tesi in omicidio, tesi suffragata da un’indagine del Giudice federale Julian Ercolini nel 2017 e confermata un anno più tardi dalla Camera Federale.

Come i lettori del Sussidiario già sanno, il presidente Fernandez, prima di essere proclamato candidato per il movimento peronista-kirchnerista “Frente de Todos” alla presidenza, era stato uno dei più acerrimi accusatori di Cristina Kirchner e nel 2015 lui stesso aveva dichiarato che “Nessuno in Argentina pensa che Nisman si sia suicidato”. Poi, in un suo articolo pubblicato sul quotidiano “La Nacion” il 20 aprile 2015, scriveva pure che “Adesso si tenta di cancellare solo la morte. Quella di un magistrato che aveva denunciato l’obiettivo finale di un inspiegabile accordo firmato tra i governi argentino e iraniano. Questa volta lo fa un Governo (di Cristina Kirchner, ndr) che, anche se si augura il castigo di quei genocidi, finisce per ripetere una delle sue pratiche più infami: quella che consiste nel sotterrare la memoria del morto nel mare dell’infamia e lasciare impuniti i perversi assassini”.

Questo curioso esercizio di coerenza (sic) e soprattutto di memoria lascia spazio ad una domanda che nessuno dei due giornalisti presenti nella citata trasmissione (uno dei quali aveva diretto la famosa intervista a Nisman) si è piccato di fare, non si sa per quale motivo: qual è il significato di quella tremenda frase che proietta il “suicidio” di Nisman sull’attuale magistrato Luciani?

E’ ovvio che i due fatti appena descritti sono gravissimi per un presidente di una Repubblica che si definisce democratico, ma che non rispetta le decisioni della giustizia, ragion per cui, oltre allo sgomento provocato, l’opposizione ha immediatamente chiesto le dimissioni dello stesso Fernandez, aspramente criticato. Ma la cosa risulta difficile per il semplice fatto che, non avendo la maggioranza nel Congreso de la Nacion, la richiesta verrebbe respinta.

Le reazioni ai fatti appena descritti sono state pesantissime da parte di larghi strati della società civile argentina e le proteste non si sono fatte attendere, tra le quali quella di un altro magistrato conosciuto dai lettori del Sussidiario: Cecilia Goyeneche, che ha dichiarato: “E’ preoccupante che un funzionario di un altro potere dello Stato giudichi pubblicamente in modo incisivo fatti inerenti a un processo in corso. La funzione di un magistrato può essere criticata, però non dal Presidente della Repubblica, perché viene messo in crisi il pensiero di coloro che ancora non sono intervenuti nella causa: i giudici che dovranno emettere la sentenza”.

Secondo Goyeneche, le dichiarazioni di Fernandez “non costituiscono una minaccia concreta, ma sicuramente hanno un significato secondo il quale la persona non può restare tranquilla. Che un Presidente della Repubblica nell’esercizio delle sue funzioni faccia tali dichiarazioni significa che non può eseguire con tranquillità il suo incarico” e lo interpreta “come un attacco concreto all’indipendenza e alla dignità della persona”.

Ovviamente la diretta interessata, Cristina Kirchner, il giorno successivo alla richiesta della sua condanna ha replicato non solo con una lunghissima requisitoria, ma anche con manifestazioni in suo appoggio, organizzate dal Movimento Peronista in generale, che continua a sostenerla. Ma di tutto questo parleremo nel prossimo articolo.

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