La crisi che esplose in Argentina nel 2001 ebbe, tra le caratteristiche principali dovute all’esplosione del cambio con il dollaro e alla sopraggiunta inflazione, una serie incalcolabile di assalti a negozi e supermercati per operare furti in collettività: fatto interpretato internazionalmente come una ribellione della gente povera che ormai era assediata dalla fame. Nulla di più falso: ciò che realmente accadde fu che il fenomeno era stato guidato e gestito ad arte dal Peronismo, smanioso di riprendersi il potere da dove era stato parzialmente rimosso nel corso delle elezioni avvenute nel 1999, che portarono alla presidenza il radicale De La Rua.
A questo seguirono delle sommosse, culminanti in un assalto della Gendarmeria ai manifestanti che provocò la morte di alcune persone e le conseguenti dimissioni del presidente il 20 dicembre 2001. Le conseguenze di quel disastro economico-finanziario (ma pure sociale) erano imputabili ai disastri delle politiche che dal 1987 vennero instaurate dal ritorno del Peronismo al potere e le conseguenti politiche intraprese da Carlos Menem, eletto presidente. Un piano portato avanti nel 1990 dal suo ministro dell’Economia, Domingo Cavallo, portò alla creazione di una parità tra il peso e il dollaro che si impose dopo un’iperinflazione: era avvenuto un miracolo? Niente di tutto ciò: semplicemente Cavallo (che era uomo di fiducia del Fmi) convinse l’organismo a prestare montagne di soldi all’Argentina, finanziamenti che servirono solo per supportare un cambio altrimenti impossibile da realizzare, vista la situazione e un’economia del Paese che era allo sbando da anni.
Ovviamente il sogno durò fino a quando non si esaurirono i soldi: Menem si dimise e passò la bomba, con tanto di miccia accesa, al suo successore, che non potè far nulla per evitarne l’esplosione avvenuta proprio in quel fatidico dicembre 2001. Ben otto presidenti si susseguirono alla Casa Rosada, fino ad arrivare alle elezioni che portarono il peronista Nestor Kirchner al potere nel 2003. Ho descritto tutto ciò perché da circa una settimana in tutta l’Argentina si ripetono assalti ad attività commerciali: si è iniziato dalle province della Patagonia e a tutta velocità gli assalti si sono susseguiti in tutto il Paese, riproponendo la stessa tragica situazione già vissuta.
Anche questa volta l’inflazione ha superato tutti i limiti possibili, arrivando però ad un record assoluto di circa 740 pesos per un dollaro (quindi al 108%) con un presidente che non riesce a gestire più nulla ed è praticamente inoperativo su questa situazione catastrofica, così come il suo ministro dell’Economia, quel Sergio Massa che già avevamo etichettato come poco capace. A muovere le fila di questa ennesima crisi, che minaccia addirittura di anticipare le elezioni presidenziali previste per ottobre, è il kirchnerismo che, uscito con le ossa rotte dalle primarie, vede la sua stella politica eclissarsi per sempre e allora, come sempre in tutti i regimi populisti, agita la bandiera della violenza camuffata da conseguenza della povertà. Che è assoluta e supera il 60% della popolazione, ma che ha al suo interno delle sacche politiche che sono direttamente collegate alla sua gestione: stiamo parlando dei tanti “movimenti sociali” che altro non sono che organizzazioni politiche che sono gestite da veri e propri “ras della povertà” e sono composte in massima parte da persone che ricevono un sussidio dallo Stato. Emolumento che spesso, per moltiplicazione attraverso coefficienti vari, produce cifre che sono superiori a quelle dello stipendio di un medico. Senza considerare ipotesi di lavoro, nemmeno lontanamente proponibile: però chi riceve i fondi è obbligato a partecipare alle manifestazioni, visto che sono proprio i capi di queste organizzazioni quelli che procurano i fondi ed elargiscono le sovvenzioni, imponendo quasi un 20% di questi finanziamenti per loro. Insomma, si crea quella relazione tra sussidio e voto che spesso ha permesso al peronismo e al kirchnerismo di vincere le elezioni e che ora gestisce le violenze che stanno infuocando l’intero Paese, con negozianti che a questo punto, vista l’inefficienza delle forze dell’ordine, hanno pensato bene di armarsi per difendere dagli assalti le loro attività.
In molti hanno pensato che il movimento “Libertad que avanza” dell’economista Javier Milei, vincitore delle primarie di due settimane fa, stia dietro a tutte queste manovre, visto l’antipolitica che il leader esprime con le urla nei suoi interventi da anni ma, nella situazione attuale, è impensabile che si voglia far crollare l’intero Paese in una guerra civile che non sarebbe utile a nessuno, tranne chi vuole arrivare al potere per vie non propriamente legali. Che il kirchnerismo non sappia più che pesci pigliare dopo la sonora sconfitta elettorale lo dimostra anche il fatto che Cristina Fernandez de Kirchner abbia proposto di dare il voto del proprio movimento per l’approvazione di una legge che regolamenta il mercato degli affitti (punendo severamente le occupazioni illegali di appartamenti) in cambio di concedere alla magistrata Ana Figueroa il prolungamento della sua carriera (ha compiuto 75 anni e quindi deve essere pensionata).
Figueroa, ultrakirchnerista, fa parte del ristretto gruppo che deve decidere se proseguire alcune delle dieci cause nelle quali l’attuale vicepresidente è implicata, arrivando a processarla, oppure bloccarne il percorso. Sua cognata, Alicja Kirchner, ha intrapreso un viaggio a Vienna dove, secondo molte fonti attendibili, ha chiesto alle autorità austriache di concedere a Cristina lo status di rifugiata per persecuzione politica, cosa che, in caso di risposta positiva, le offrirebbe la possibilità di rifugiarsi presso l’ambasciata di quel Paese a Buenos Aires e successivamente essere trasferita e ospitata in Austria, evitando non solo i sei anni di carcere, a cui è già stata condannata in prima istanza, ma anche gli altri processi.
Nel frattempo il “presunto” presidente, Alberto Fernandez, gongola per aver firmato un trattato che lega il suo Paese ai Brics: evento senza senso per due ragioni. La prima è che a breve ci saranno le elezioni e una decisione così importante spetterebbe al presidente entrante, non a quello che lascia. Anche perché sicuramente l’attuale accordo verrà rigettato pure per la ragione che in questa tanto decantata organizzazione economica c’è pure l’Iran: Paese accusato di aver organizzato l’attentato nel luglio 1994 a Buenos Aires contro l’organizzazione mutuale ebrea Amia che provocò la morte di 85 persone.
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