Che il problema della povertà in Argentina sia ormai endemico è una triste realtà che anche questo nuovo Governo, con le fortissime imposizioni fiscali che colpiscono la classe lavoratrice. La povertà rischia di aumentare ancora e, attraverso la politica dei sussidi senza nessun inserimento nel mondo del lavoro, trasformarsi in un fenomeno di massa e quindi trascinare il Paese in una situazione simile a quella venezuelana. Julio Bazan, storico cronista di grande professionalità, può ritenersi uno dei più grandi esperti della materia, visto che una sua trasmissione da anni esplora le condizioni di vita delle “villas miserias” che ormai si moltiplicano senza sosta tramite quella che, attraverso sussidi fini a se stessi, può definirsi ormai come un’industria politica (sussidio in cambio del voto). Lo abbiamo intervistato a Buenos Aires.



Com’è iniziata questa interessante trasmissione?

“Esta es mi villa” è nata 8 anni fa per caso: un alto dirigente del canale televisivo cercava personale per le pulizie e si trovò con la candidata ideale, che però aveva fornito un indirizzo falso sulla domanda di assunzione. Lei rispose che lo aveva fatto perché se avesse scritto che viveva in una “villa miseria” non sarebbe stata assunta. Il pregiudizio secondo il quale in questi luoghi vivono solo delinquenti, drogati, ubriachi e malfattori è ancora molto diffuso, per cui il funzionario chiamò il direttore del canale e venni incaricato, come cronista, di creare una trasmissione che documentasse la vita in questi quartieri d’emergenza.



Ha avuto problemi o situazioni pericolose per realizzare questa trasmissione?

Sì, perché in una “villa” governano i narcotrafficanti. La giustizia e lo Stato che dovrebbe rappresentarla sono assenti. Per realizzare il programma ci venne offerta una scorta della Gendarmeria, ma in questo modo avremmo perso la spontaneità nel rapporto con la gente. La mia fortuna è stata quella di avere due colleghi giornalisti come produttori che avevano grande esperienza in campo sociale. Ci siamo appoggiati quindi a persone che erano punti di riferimento per gli abitanti e così abbiamo potuto iniziare a dialogare con loro: gli unici problemi li abbiamo avuti con i narcotrafficanti.



Che genere di problemi?

Faccio due esempi: una volta nella villa denominata 1-11-14, pur se entrati accompagnati da una signora, nostra referente, siamo stati attaccati con armi e lanci di pietre e siamo dovuti uscire. Solo dopo che la signora, durante una messa, ha incontrato la moglie del capo narco abbiamo avuto il permesso di filmare e intervistare perché negli orari previsti la banda narco non si faceva vedere. Un’altra volta eravamo nella villa più pericolosa di Rosario, città devastata dal narcotraffico, accompagnati da un gruppo di impiegati della municipalità che agivano da volontari come referenti per pratiche e risolutori di problematiche varie molto benvoluti dalla gente. Mentre stavamo attraversando la villa il mio entusiasmo giornalistico mi fece saltar giù dal mezzo dove eravamo per contattare la gente. Venni invitato a risalire e rimanere lì senza nemmeno veder ciò che ci circondava finché non si fosse parlato con il capo narcotrafficante e, una volta ritiratasi la banda, potemmo iniziare il nostro lavoro. Lì trassi delle conclusioni.

Quali?

Mi sono chiesto: ma se dei semplici impiegati municipali sanno perfettamente chi sono i referenti e i capi delle bande narco e conoscono alla perfezione i luoghi dove si trovano i laboratori, questo dovrebbe essere a conoscenza non solo delle autorità municipali, ma anche delle forze dell’ordine e della giustizia in generale, che però si astengono dall’intervenire. E adesso lo so pure io, ma che faccio? Se denuncio tutto io me ne torno tranquillo a Buenos Aires, ma lì rimane la gente con la quale ho parlato, che diventa oggetto di rappresaglie delle bande. In poche parole, anche io sono complice di una situazione che si vive nelle villas di tutta l’Argentina…

È una situazione generale o esistono anche villas al di fuori di questo fenomeno?

Purtroppo la realtà è quella che ho descritto, nelle villas comandano loro. Prima le bande del Paraguay, ora soppiantate da quelle peruviane dopo che una guerra interna, combattuta con le villas come campo di battaglia, li ha visti padroni del campo. Al punto di diventare pure referenti famigliari perché risolvono molti problemi interni alle famiglie, anche economici. Offrono per esempio lavoro a ragazzini di 14 anni per impacchettare le varie droghe in confezioni di diverso colore. Siamo arrivati al punto che pure durante le elezioni il narcotraffico si fa sentire, come accaduto nella disputa interna al peronismo per il candidato alla Provincia di Buenos Aires, dove Felipe Solà (allora candidato ma ora ministro degli Esteri nel nuovo Governo peronista e kirchnerista, ndr) invitava a non votare Anibal Fernandez perché implicato con la droga (per la cronaca ora pure lui è stato nominato dirigente della maggiore impresa statale di estrazione carbonifera YCA dal Presidente. ndr). Il fenomeno quindi è talmente radicato nella società che nessuno lo vuole risolvere.

In Brasile e anche in altre nazioni latinoamericane le favelas contano sulla presenza della polizia ma anche di entità istituzionali…

Se è per quello la potenza di fuoco delle bande narco brasiliane era tale che son dovuti entrare nelle favelas con i carri armati per contrastarla. Qui si è tentato con la polizia e anche con funzionari, che però sono stati cooptati dalle bande con tangenti varie. Si è provveduto quindi a sostituirli con la Gendarmeria e qualche risultato si inizia a vedere.

Come vede invece la gente normale, quella che si è dovuta trasferire nella villa per ragioni economiche? Prendono questo trasloco come un fatto temporaneo in vista di raggiungere una migliore condizione sociale in grado di farli tornare in altri quartieri o poi alla fine si affezionano alla villa al punto di volerci rimanere a vita?

Il fenomeno nacque negli anni Settanta e fu la causa di un’urbanizzazione incontrollata che costrinse masse di immigrati stranieri e dal resto dell’Argentina a trasferirsi in situazioni di emergenza abitativa. Stiamo parlando di un Paese che all’epoca aveva solo il 5% di povertà e attraverso il lavoro ci si comprava un terreno fuori città per poi costruirsi una casa, abbandonando la villa. Ora la situazione è differente e ho contato a volte 4 generazioni di famiglie che hanno sempre vissuto lì e avendo scuole e mezzi di trasporto vicini lì rimangono. Credo che si sia perso quello spirito di sacrificio.

Ma allora siamo di fronte a generazioni di fannulloni?

No. Noi registriamo il nostro programma il sabato e la domenica perché in un giorno feriale c’è poca gente. È difatti bellissimo vedere alle sei del mattino grandi quantità di persone che prendono i mezzi pubblici per recarsi a lavorare. Però effettivamente si sta uccidendo la cultura del lavoro perché aumentano considerevolmente le situazioni di famiglie intere che vivono dei tantissimi piani sociali: ricevono proposte di lavoro, ma accettandole dovrebbero rinunciare ai sussidi e quindi preferiscono non lavorare o spesso accettare proposte di lavoro in nero. Un pomeriggio nella poverissima provincia del Chaco dovevamo intervistare un pescatore che però alle 15 avrebbe dovuto andare al lavoro. Alla fine ci disse che poteva trattenersi perché la sua attività era molto elastica con gli orari. Quando gli chiedemmo che lavoro facesse ci rispose: “Il manifestante, bloccando il traffico nelle strade”. E l’organizzazione sociale per la quale ” lavorava” gli garantiva uno stipendio pari a quello di un maestro. Era convinto di lavorare, come molti altri pensano quando incassano i sussidi: e questo è un sintomo grave di perdita della cultura lavorativa.

Quale funzione svolge la Chiesa in queste realtà?

Un opera encomiabile nel cercare di aiutare la gente e convincerla del fatto che non c’è dignità nel vivere in quei posti, provando anche a creare situazioni che siano di aiuto a far progredire la loro situazione. Spesso però affrontano dei gravi problemi con le bande di narcotrafficanti che li vedono come un ostacolo alle loro attività criminali e, come nel caso del Padre Pepe, devono essere trasferiti dai vescovi dalle villas e spediti a operare in altre città lontane perché la loro vita è a rischio. Torniamo sempre al solito problema del narcotraffico…

Quindi il fenomeno è evidentissimo e, a quanto vedo, controlla la politica…

Come dicevo prima, quando in un’elezione un candidato dice del suo avversario che votare per lui è appoggiare il narcotraffico, la cosa è chiarissima. A volte nelle retate vengono arrestati non solo i narcotrafficanti, ma pure le forze di polizia e della giustizia che dovrebbero combatterli.

In vari Paesi la povertà si è combattuta con piani di integrazione che comprendono l’inserimento in attività lavorative. Qui invece si insiste con il sussidio puro come soluzione. Come mai non si cambia?

Sono anni che vari Governi per risolvere crisi da loro stessi causate promuovono politiche di manovre fiscali ed economiche che provocano restrizioni e che alla fine si abbattono sulla popolazione. Il primo esempio lo abbiamo avuto negli anni Novanta con la Presidenza Menem, e via via si è arrivati ad applicare sempre le stesse politiche che col tempo hanno aumentato il fenomeno della povertà. Ma alla politica della sua soluzione non importa nulla, arrivando perfino a mascherare i dati, come negli anni di Nestor e Cristina Kirchner, dove si è giunti a dire che la povertà in Argentina era solo al 5%, meno che in Germania…

(Arturo Illia)