Domenica scorsa 26 ottobre l’ex Presidente della Bolivia Evo Morales ha subito un attentato: l’auto sulla quale viaggiava è stata attaccata a colpi d’arma da fuoco e lo stesso Morales ha pubblicato un video dell’avvenimento, commentato a livello internazionale, specialmente dal mondo radical-chic ZTL definito sinistra, elevando Morales al ruolo di martire.
Peccato che diversi esperti di siti di controllo sulla veridicità di documenti, nella stessa Bolivia, abbiano concluso che il filmato possa essere una prova su cui dubitare, visto che ci sono ben 12 interruzioni che fanno pensare che le cose siano andate molto diversamente. Ricordiamo che recentemente Morales è stato pure accusato non solo di violenze su minori, ma pure di essere a capo di un traffico di minori attraverso la gestione di un’organizzazione denominata “Guardia presidenziale giovanile” composta da bambini di 14-15 anni, tra i quali una certa Cindy, che lo ha accusato di violazione sessuale e di averla messa incinta, fatto che poi ha portato alla nascita di un bambino, che è stata registrata, però, solamente dopo il compimento dei 18 anni della giovane. Per questi episodi l’ex leader è dovuto fuggire nella regione del Chapare, un vero e proprio Stato nello Stato boliviano, sotto il controllo dei cocacoleros che ne gestiscono il potere e dei quali Morales rappresenta il capo.
Un’autorevole fonte boliviana da noi interpellata ci ha confermato i dubbi espressi, ribadendo che non si è trattato di un attentato, ma di un’operazione della polizia tesa a catturare personaggi collegati al mondo della droga: l’unico dubbio è capire se l’auto nella quale viaggiava l’ex Presidente fosse l’obiettivo dell’operazione oppure sia capitata per caso nello svolgimento della stessa. “Intervistato dopo l’accaduto, Morales in un primo momento aveva dichiarato di aver sparato alla polizia per poi cambiare la versione, smentendo ovviamente la precedente”. “In Bolivia già nessuno crede nell’attentato – continua la nostra fonte – anche se questa versione è supportata internazionalmente da dichiarazioni di capi di Stato, come la Presidente del Messico, che però si sbagliano. Chiaramente Evo sta montando tutto questo per evitare di essere perseguito legalmente per lo scandalo sessuale nel quale è implicato e per il quale, finora, non si è presentato a dichiarare davanti alla giustizia. In un’intervista alla sua radio ha affermato di aver sparato, ma poi ha detto di essere stato mal interpretato, asserendo (un po’ comicamente) di non parlare bene lo spagnolo: ma lui, nonostante le sue origini, non parla nessun dialetto indigeno!”.
Come commentavamo nell’ultima nota dedicata, il conflitto interno nel MAS, il partito di cui fanno parte sia Morales che l’attuale Presidente Arce, si sta aggravando per lo scontro di queste due personalità e difatti le ultime problematiche del primo, da sempre conosciute, sono improvvisamente assurte alla ribalta della cronaca.
Scrivevamo inoltre di una possibile escalation di violenza che avrebbe potuto portare anche a una guerra civile e, come purtroppo pronosticato, gruppi armati fedeli a Morales e formati da cocacoleros hanno attaccato e alla fine occupato due unità militari nel Tropico de Cochabamba e solo recentemente, nella parte più lontana della regione del Chapare, l’esercito è riuscito a sbloccare la situazione di occupazione da parte dei ribelli. Mentre allo stesso tempo è in atto, in altre zone, una resistenza da parte delle forze armate regolari affinché le bande organizzate non occupino i loro insediamenti per impossessarsi di armi. Purtroppo l’esercito si trova in una zona ostile dove, lo ripetiamo, tutto è nelle mani dei cocacoleros: di certo però con queste azioni, perpetrate per evitare l’arresto, Morales a questo punto rischia di essere perseguito dalla giustizia anche per il reato di tradimento della Patria e terrorismo.
Da notare che, per fortuna, gli scontri che finora si sono sviluppati hanno provocato solamente feriti, tra i quali un giornalista, ma il proseguimento di questa guerriglia potrebbe, se la situazione si aggravasse, portare alla proclamazione da parte del Governo dello stato d’assedio.
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