Con un blitz della polizia boliviana, intorno a mezzogiorno di mercoledì scorso, il Governatore del Dipartimento di Santa Cruz, Luis Fernando Camacho, tra i principali oppositori dell’attuale Governo populista di Luis Arce del partito MAS dell’ex Presidente Evo Morales, è stato arrestato con la “classica” accusa di terrorismo e cospirazione.



Con questa operazione, apparsa ai più come un definitivo colpo di mano dell’attuale potere politico, si è in pratica messo a tacere il più importante esponente dell’opposizione e posto il regime in un monopolio politico assoluto. In pratica si tratta di un’operazione che, dopo l’arresto e la detenzione arbitraria dell’ex Presidente Jeanine Añez, pone la Bolivia definitivamente nell’arco del populismo latinoamericano al pari del Nicaragua e del Venezuela.



Cerchiamo di contestualizzare la crisi scatenata in Bolivia dal violento arresto: non è un fatto giuridico isolato, ma piuttosto un evento che espone un processo politico e storico molto profondo che include gruppi etnici, economia e geopolitica. Luis Fernando Camacho è stato l’ultimo grande oppositore di fronte a Evo Morales, il vero potere all’interno del Governo boliviano.

A sua volta, Camacho è il rappresentante politico di una regione chiamata Media Luna che contende a quella de El Alto il modello politico ed economico della Bolivia: El Alto è guidato dai dipartimenti di La Paz, Cochabamba, Potosí e Oruro con una base etnica Ayamara e Quechua, i due gruppi originari che predominano in Bolivia con il 41% della popolazione totale e costituiscono anche il nucleo dell’elettorato del MAS guidato da Evo Morales.



Rappresenta il potere politico in quanto sede delle principali entità governative, ma Media Luna, costituita dai dipartimenti di Santa Cruz, Tarija, Beni e Pando, è il nucleo produttivo del Paese, e qui si comincia a spiegare la vera tensione politica, visto che la regione di Llano, l’altro nome dato alla Media Luna per differenziarla dall’Alto, genera la metà del Pil del Paese e il suo reddito pro capite è superiore a quello degli altopiani. Concentra anche l’industria manifatturiera e risorse vitali come la lavorazione del petrolio e del gas. Il modello estrattivista di Morales e il suo rifiuto della sfida modernista che la regione del Llano rappresenta con la sua preferenza capitalista è una disputa che si costruisce su decenni di tensioni e che in egual misura l’hanno portata a chiedere maggiore autonomia e talvolta secessione.

La differenza nel modello di generazione della ricchezza ha fatto sì che il Llano resistesse alla proposta anti-capitalista e tradizionalista di Evo Morales: pertanto, Camacho riuscì a indire uno sciopero di un mese contro i tentativi di Evo di gestire i dati del censimento nazionale; quella resistenza, aggiunta all’accusa dei tribunali nominati da Morales secondo cui Camacho avrebbe tentato un colpo di stato nel 2019 dopo lo scandalo elettorale fatto dallo stesso Morales, ha portato al suo arresto. Come l’ex Presidente Jeanine Añez, il processo giudiziario serve agli scopi di Evo. Non si tratta quindi dell’arresto di un leader, ma della neutralizzazione dei capi dell’opposizione che impediscono a Evo di dominare la scena elettorale e controllare le risorse del Llano, visto che l’ex presidente Carlos Mesa rappresenta un’opposizione più mite e per ora non spaventa Evo.

Anche la diversa composizione etnica aggiunge fattori: la migrazione europea e l’esistenza di maggiori proporzioni creole a El Llano hanno accentuato la differenziazione della base elettorale originaria di Morales a El Alto, acuita dal suo discorso di restaurazione indigena.

Abbiamo quindi Evo Morales a El Alto con una proposta collettivista, anti-occidentale e recupero delle tradizioni indigene da un lato e dall’altro la Regione del Llano con la sua cultura capitalista, reddito e ricchezza più elevati e desiderio di autonomia dal centralismo di La Paz.

La proposta indigena non è solo folcloristica, ma si basa sull’idea di un collettivismo ispirato alle interpretazioni della cultura Inca e di una figura forte al vertice dello schema di potere, che si costruisce con la promessa del recupero di un passato idealizzato. In questo processo, hanno creato un avversario (pure lui idealizzato) anche nel modello Media Luna con il suo capitalismo, modernità e sistema politico senza leadership unica, che si trasformano in attributi negativi perché, per Evo, rappresentano la cultura che ha posto fine allo splendore indigeno.

Morales propone di tornare a un modello che privilegia l’estrazione e la vendita di ricchezze naturali a scapito dell’industria di Llano che dà potere ai suoi avversari, ma mentre il litio è sicuro nelle aree indigene, il resto, in particolare gli idrocarburi, è ancora condiviso.

Ecco spiegato per sommi capi perché la disputa politica storica tra El Alto e El Llano ha aspetti economici ed etnici che contestualizzano sia l’arresto di Camacho che la sua brutalità disciplinare, che corrisponde alle tremende condizioni in cui si trova l’ex presidente Añez.

D’altra parte Evo ha saputo internazionalizzare la sua figura e convocare i populismi della regione per affermarsi vittima di un golpe nel 2019 dopo aver corroborato irregolarità nelle elezioni.

Sono le stesse forze che minimizzano la detenzione degli oppositori da parte dell’attuale Governo e l’esistenza di gruppi di estrema destra nel Llano ha aiutato Evo a esacerbare la questione etnica. Non è qualcosa che Morales ha inventato, ma ha saputo sfruttarlo presentando gli Aymara e i Quechua come gruppi che meritavano un reclamo storico contro i “bianchi” dell’est: ad esempio, i gruppi indigeni legati al MAS che Morales ha utilizzato per bloccare le città di Santa Cruz nel novembre di quest’anno, e la chiusura delle tre vie che la collegano con il resto del Paese ne ha colpito l’economia e ha minacciato una penuria di cibo per i suoi abitanti.

Ma, occupandoci della geopolitica regionale non possiamo scordare l’ingerenza che la Bolivia ha avuto recentemente nel tentato golpe attuato da Pedro Castillo in Perù: pretendendone la liberazione si è si inimicata il Paese vicino, ma allo stesso tempo ha perfettamente condiviso e compiuto le volontà sia del Gruppo di Puebla che del Foro di San Paolo, due organizzazioni che riuniscono la sinistra populista latinoamericana.

A questo bisogna aggiungere come, nella crisi peruviana, la Bolivia abbia preteso che alla regione peruviana del Puno, dove è scoppiata la crisi, venisse concessa l’autonomia in modo da potersi integrare al suo territorio, con il quale condivide un’identità etnica e culturale.

Come si vede, seguendo il filo dei fatti che stanno accadendo in diversi Paesi latinoamericani, quello che si sta sviluppando è un inasprimento dei vari conflitti interni in modo da arrivare a un controllo totale del territorio che veda il trionfo del modello populista in tutto il Continente: e questo si esplicita in vari modi. Dagli arresti di oppositori a intromissioni pesanti dei Governi nei confronti della Giustizia, come è accaduto in Argentina, caso che esamineremo in un prossimo articolo. A tutto ciò dobbiamo sommare pure l’inizio, alquanto caotico, della discussa Presidenza di Lula da Silva in Brasile, Paese che, secondo il parere di molti osservatori, minaccia di unirsi al “coro” fin qui descritto.

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