In Bolivia il 10 giugno scorso, con una sentenza per certi versi ampiamente “pilotata”, l’ex Presidente ad interim Janine Añez è stata condannata a 10 anni di carcere per aver prodotto un colpo di Stato nel 2019 ed essere la responsabile degli incidenti che causarono alcuni morti e feriti nel corso di manifestazioni di quel drammatico periodo.



La sentenza ha scatenato un coro di proteste non solo nell’intera America Latina, ma anche l’Onu ha espresso, in un comunicato, le sue perplessità non solo per la condanna, ma anche per le rivelazioni dell’ex Presidente e leader del Movimento Socialista MAS, Evo Morales, che, nel corso di un’intervista ha espressamente parlato di una riunione politica nel suo partito per procedere penalmente contro l’ex mandataria attraverso un processo ordinario e non a uno di responsabilità.



In pratica si sostiene che Añez abbia compiuto un colpo di Stato perché, dopo la fuga di Morales dalla Bolivia, la Presidenza doveva essere data alla Vicepresidente del Senato, Adriana Salvatierra, così come recita la Costituzione. Il “piccolo” particolare di cui il Tribunale Ordinario non ha minimamente tenuto conto è che Salvatierra si era dimessa dalla sua carica e che, logicamente a quel punto, Añez, essendo seconda Vice, aveva diritto a occupare l’incarico di Presidente ad interim per portare il Paese a elezioni, visto che le precedenti erano state invalidate per due fatti non trascurabili. In primis, per i brogli elettorali scoperti a causa di sospettosi ritardi in molte circoscrizioni sulla comunicazione dei dati per falle di sistema, frodi di cui venne accusato Morales anche da organizzazioni internazionali come quella degli Stati americani. E poi per un’altra questione: non potendo aspirare a un terzo mandato, nel 2016 Morales indisse un referendum per ottenerlo. Ma il risultato della consultazione si rivelò un vero disastro, con un 99,72% dei voti contrari: nonostante questo Morales si ripresentò ugualmente alle elezioni e, come si vede chiaramente dai fatti, quando si parla di “colpo di Stato” vien proprio da pensare che alla fine lo abbia tentato lui, avendo come complice internazionale tutta la (cosiddetta) sinistra populista latinoamericana. 



Anche perché il Tribunale, nella sua “incompetenza” ha dettato nella sentenza che, prima di Añez, il diritto alla Presidenza spettasse alla Vicepresidente della Camera dei Deputati, Susana Riveiro, anche lei rinunciataria. Cosa che però la Costituzione non prevede.

Come si vede un vero e proprio teatro giuridico, in cui prove schiaccianti della regolarità dell’operazione di accesso alla Presidenza sono state omesse per gli ordini ricevuti da un Morales assetato di vendetta, negando non solo un tribunale competente, ma anche il diritto di Añez alla difesa e a poter presenziare nel processo e ascoltare pure le parti in causa che, all’epoca dei fatti, fuggirono dal Paese.

La prova più contundente della regolarità dell’intera operazione di successione sta nel fatto che Añez ha pienamente rispettato la causa del suo mandato di Presidente ad interim, e cioè proprio quella figura che deve guidare il Paese, precipitato in una crisi istituzionale gravissima, verso le elezioni che poi, escluso un ritardo dovuto alla crisi sanitaria Covid-19 che ha profondamente colpito la Bolivia, si sono svolte regolarmente e hanno pure visto la vittoria del Movimento di Evo Morales, il MAS, e il suo ritorno al potere tramite l’elezione a Presidente del suo delfino, Luis Arce, eletto il 18 ottobre 2020 con il 55,11% dei voti. 

Ma il Tribunale ha anche commesso un altro gravissimo “errore”: ha giudicato fatti accaduti nel 2019 quando i supposti “delitti” erano stati segnalati con una modifica del Codice penale nel 2010 e che poi venne derogata nel 2021 proprio dall’attuale Governo. Ci troviamo quindi di fronte a una condanna che non è supportata da una legge vigente. Un gruppo di giudici indipendenti, dopo la singolare sentenza, ha emesso un comunicato nel quale allerta l’opinione pubblica che il mantenimento della condotta autoritaria e il rifiuto nel riconoscere l’indipendenza giuridica possono dar luogo a un rifiuto e conseguente cancellazione della Costituzione nazionale, fatto già accaduto, guarda caso sotto il Governo di Morales, nel 2017 con l’illegale sentenza Costituzionale 84/2017 che poi fu il detonatore della crisi del 2019. 

Lo scorso 19 giugno anche l’Unione europea si è unita ai reclami sia dell’Onu che degli Usa sulle irregolarità del processo, con una lettera dove si sottolinea che “Tali atti sono sintomatici delle deficienze strutturali del sistema di giustizia boliviano, anche secondo le informazioni ricevute dal relatore Speciale dell’Onu sull’indipendenza dei Giudici e gli Avvocati Diego Garcia-Sayan nel maggio 2022”. Uno scandalo internazionale che, ci auguriamo, possa essere risolto al più presto. Ma temiamo sarà difficile visto il grandissimo potere, dimostrato nella farsa processuale, di cui gode l’ex Presidente Evo Morales.

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