La scorsa settimana la favoletta messa in scena in Bolivia dall’attuale Governo del Presidente Luis Arce e dal suo predecessore Evo Morales sulla presunta cospirazione internazionale che ha portato al fantomatico “golpe” di Stato militare contro quest’ultimo ha subito tre clamorose smentite da parte di organismi altrettanto internazionali quali l’Unione europea, l’Organizzazione degli Stati Americani (Osa) e la Corte interamericana dei diritti umani (Cidu) che hanno sonoramente smentito la versione cinematografica fatta circolare dal presente Governo fin dal suo insediamento, attraverso libere elezioni indette proprio dall’esecutivo precedente, definito “golpista”, della ex Presidente di transizione Jeanine Áñez.



E a tutto questo si aggiunge anche il reclamo dell’Assemblea permanente dei diritti umani boliviana (Apdhb) che ha chiesto che l’ex Presidente, attualmente imprigionata e in pessime condizioni di salute dovute all’incarcerazione, come altri esponenti dell’ex Governo transitorio boliviano e oppositori dell’attuale che soffrono di “persecuzione politica”, possano affrontare in libertà la grande quantità di processi che li attendono.



Il caso Bolivia sta acquistando ogni giorno di più rilevanza internazionale, come testimoniano gli interventi citati, a causa di uno spirito non tanto nascosto di vendetta politica da parte del Mas, il partito al potere, al quale appartiene tuttora Evo Morales.

Nel suo intervento l’Unione europea, così come altre missioni diplomatiche accreditate a La Paz, ha duramente replicato alle accuse del Procuratore Generale dello Stato, Wilfredo Chávez (che a parte il cognome omonimo dell’ex Presidente venezuelano è anche avvocato di Morales), e ha respinto la tesi della partecipazione a un colpo di Stato e di una cospirazione, sostenendo altresì che, in un’azione promossa con la Chiesa Cattolica, “ha sostenuto un processo di pacificazione in un momento di estrema tensione, facilitando una piattaforma di dialogo con lo scopo di evitare altre violenze e risolvendo la crisi che ha attraversato il Paese”.



Infatti, il dialogo si produsse realmente tra partiti Governativi e opposizione nel mezzo di un caos sociale di una protesta messa in atto sia da gran parte della popolazione che dalle forze dell’ordine e quelle armate che tolsero il loro appoggio a un Evo Morales, Presidente, che nel 2019 venne eletto contro una Costituzione che non gli permetteva un ulteriore mandato e oltretutto con un’importante frode elettorale nel voto. Ricordiamo inoltre che il referendum proposto illegalmente da Morales in violazione dei citati dettami costituzionali si risolse in una sconfitta.

Stesse accuse formulate dall’Osa che, in un comunicato ha confermato come Morales commise evidenti irregolarità nelle elezioni, descritte con abbondanza di particolari, citando un sistema di conteggio rapido (Trep) che venne inspiegabilmente bloccato, senza una spiegazione da parte del Tribunale supremo elettorale, e subì un attacco clandestino da alcuni server informatici che magicamente manipolarono i risultati.

Insomma, si assiste a un sistematico smantellamento delle tesi governative, che però, ovviamente, hanno trovato appoggio nei governi populisti del Venezuela e dell’Argentina: ma i tre interventi citati hanno indubbiamente assestato un duro colpo all’immagine internazionale dell’attuale Governo, che poi, ricordiamolo, è gestito dal partito Mas, di cui Arce fa parte, messo al potere con elezioni democratiche indette nel pieno rispetto della Costituzione proprio da quella Jeanine Áñez, ora agli arresti, che, nell’esercizio della sua Presidenza temporanea, è riuscita a compiere la missione per la quale ha ricoperto l’incarico.

Nel documento con il quale sollecita la sua immediata scarcerazione, la Presidente dell’Associazione boliviana dei diritti umani, Amparo Carvajal, segnala una lista di violazioni da parte dell’ex Presidente Morales, tra le quali diverse si riferiscono a repressioni di manifestazioni organizzate da comunità indigene segnalate anche da denunce fatte presso l’Onu.

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