Subito dopo il risultato delle elezioni, che hanno incoronato Lula da Silva al terzo mandato presidenziale, in Brasile sono scoppiate manifestazioni massive ai quattro angoli del Paese: inizialmente anche una protesta dei camionisti che in pratica ha bloccato il Paese, ma poi successivamente il discorso pacificatore dell’attuale Presidente Jair Bolsonaro ha in parte rasserenato gli animi. La situazione rimane però tesissima, anche perché in pratica i due contendenti alla presidenza sono scomparsi dalla circolazione, ma la scena politica si è riempita di una quantità industriale di notizie, nelle quali è difficile intravedere la verità, ma anche proteste che continuano e che avranno il punto cruciale tra martedì e mercoledì, quando l’entità militare incaricata dal Presidente di sorvegliare la regolarità del voto farà il suo report che investirà anche il primo turno.
Tra i colleghi giornalisti, e non solo, circola la notizia che riguarda la scoperta di un buco informatico nel sistema elettronico che ha governato le elezioni (gestito stranamente da una società venezuelana) che parla di un numero tra i 2 e i 5 milioni di voti fasulli: quello che è certo è la grande quantità di denunce di persone che, recatesi al suffragio, ha scoperto incredibilmente che il suo voto era già stato espresso.
Diciamolo chiaramente: il Brasile è nel mezzo di un caos grandissimo, come non si registrava da decenni, e la miccia è pronta ad attivarsi e a far scoppiare la situazione con sviluppi imprevedibili (si parla di colpo di Stato militare o del pericolo di una guerra civile) anche perché ancora una volta il Presidente del TSE (Tribunale Superiore Elettorale) Alexandre De Moraes che, ricordiamolo, nel corso delle campagne elettorali ha preso decisioni che chiaramente hanno favorito Lula, continua ad affermare che il risultato non può essere messo in discussione e quindi ha deciso di censurare tutte le voci che gli remano contro bloccandogli gli account nei social, al punto che un gruppo di informatici con prove, secondo loro, inconfutabili di un gigantesco broglio elettorale, si sono dovuti trasferire a Buenos Aires per poter organizzare una conferenza stampa. Nella quale hanno dimostrato, prove alla mano, che in un numero impressionante di sezioni elettorali Bolsonaro non ha preso nemmeno un voto: cosa matematicamente impossibile, ma realizzabile attraverso una manipolazione informatica dei dati.
Altra cosa estremamente interessante, ma allo stesso tempo inquietante, è come la stampa internazionale (che nella sua maggioranza “mainstream” ha pigiato l’acceleratore in favore di Lula) di fatto ignora la pericolosa situazione che si sta sviluppando nel Paese, come se nulla stia accadendo: il che fa pensare che effettivamente qualcosa stia succedendo al punto che diversi report nei canali statunitensi parlano non solo di brogli, ma anche di gestione “controllata” dei canali social dove molti contenuti subiscono e hanno subito una censura preventiva.
Allo stesso tempo si assiste, in maniera non tanto velata, a un mercato politico con manovre, specie da parte di Lula, che, nella sua campagna, aveva parlato di fondi per oltre 200 miliardi di reais con i quali poter gestire la situazione del Brasile: ma ciò è proibito dalla legge, che non permette alcun sforamento di bilancio. Per questo Lula sta tentando di convincere deputati e senatori appartenenti all’attuale Parlamento (attualmente a grande maggioranza del PL) a fare un decreto che permetta questa manovra, che in pratica vuol dire a cambiare casacca politica.
Di certo anche se, come speriamo, gli animi dovessero pacificarsi, la presidenza del leader del PT si preannuncia molto difficile sia perché i suoi poteri non sono poi così forti e anche perché ogni sua mossa dovrà essere approvata a livello parlamentare e quindi sottoposta al vaglio di una maggioranza a lui contraria.
Resta il fatto che, se confermato, il cambio di Presidente porterà il Brasile a far parte di quella maggioranza di Governi populisti che nella quasi totalità dei casi, sta portando le nazioni del Continente latinoamericano alla rovina, quando non a dittature non certo invisibili, dove il pensiero unico domina e dove, con la scusa di fantomatiche rivoluzioni popolari, la povertà aumenta a dismisura: ne sa qualcosa il Cile, Paese che per oltre 40 anni ha goduto di una democrazia che ha portato il Paese non solo verso un boom economico, ma anche una drastica diminuzione della povertà, dove il neoeletto Presidente Boric ha dovuto frenare diversi punti della sua “revolucion” dopo che un referendum gli ha bloccato il progetto di cambio della Costituzione.
Avevamo già accennato, in un altro articolo, alla posizione degli Stati Uniti riguardo non solo la situazione nel Continente ma anche, più specificamente, del Brasile: ma è inequivocabile come Washington abbia spinto un po’ oltre il limite il suo appoggio a Lula. L’Amministrazione Biden credo abbia puntato decisamente contro un Bolsonaro fervente sostenitore sia dell’alleanza BRICS (quella tra Paesi emergenti) che soprattutto “amico di Putin”: non vorrei che questa fiducia nei confronti di Lula abbia poi dei risvolti dolorosi una volta conquistato il potere, visto che ci troviamo di fronte al fondatore del “Forum de Sao Paulo” che riunisce i partiti della sinistra di Paesi latinoamericani dove, chiaramente, non è che alberghi molta simpatia nei confronti degli Usa.
Una cosa è certa: il Brasile è spaccato in due e le proteste continuano ormai da giorni, portando il Paese verso un futuro quanto meno enigmatico ma sicuramente difficilissimo: tra martedì e mercoledì vedremo come andrà a finire.
Possiamo però senz’altro affermare che l’uso di un sistema informatico nelle elezioni, visto il gran numero di brogli scoperti e attuati durante i blackout dei sistemi, sia completamente da rivedere nelle sue regole, visto che a ogni tornata elettorale si scoprono disfunzioni notevoli: alla fine il voto cartaceo diretto, se ben attuato e controllato, rimane ancor oggi il più affidabile.
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