Una delle caratteristiche principali del populismo latinoamericano (che rischia di avere a breve l’Italia tra i suoi membri) è quella della sostanziale riproduzione di personaggi che, una volta arrivati al potere, non solo non adottano nessun piano tra quelli promessi in campagna elettorale, ma stravolgono tutto con l’esatto contrario impoverendo ancor di più le nazioni che li eleggono e che, arrivati a fine mandato o fatti fuori da scandali di corruzione, non sono confermati… ma dopo l’alternanza con altri tipi di potere (che magari tentano di mettere delle pezze sulle politiche fallimentari dei loro predecessori) miracolosamente i vecchi leader tornano. Con lo stesso tipo di promesse modello bacchetta magica e alla fine riportando le nazioni nei disastri dai quali stavano uscendo.
Il copione, che si ripete a ogni angolo del continente latinoamericano, ha nel Brasile e nell’Argentina due Paesi veramente legati da questo tipo di distonie: abbiamo già parlato abbondantemente di entrambi e i nostri lettori sanno perfettamente in che razza di baratro è finita un’Argentina che ha nel peronismo e i suoi discepoli un cancro che si ripete da più di 40 anni con le stesse modalità e che ci auguriamo che da ottobre possa finalmente essere estirpato da una situazione semplicemente catastrofica dovuta a una conduzione suicida (per il Paese) perpetrata da un Presidente, Alberto Fernandez, che molti vedevano come un conciliatore, ma che in verità si è rivelato il cinico alleato di un kirchnersimo che dal fatidico 2003 ha ridotto in rovina la nazione, con una povertà che ormai supera il 63% e con oltre 8 milioni di bambini che, come ha recentemente dichiarato il Cardinale Poli (Arcivescovo di Buenos Aires) in una sua omelia, non dispongono praticamente di alimenti per la loro sopravvivenza.
Ma focalizziamoci ora sul Brasile, Paese che negli ultimi tempi ha vissuto grandi difficoltà dovute alle politiche intraprese da Lula Da Silva, che in soli 100 giorni di mandato ha saputo portare questa nazione agli stessi livelli di crisi del 1996, mentre l’aveva ereditata in condizioni più che buone, nonostante gli anni Covid, per un rilancio effettuato dal contestatissimo ex Presidente Bolsonaro, che alla fine ha dovuto cedere lo scettro in elezioni contestate per la loro regolarità e con una vittoria del suo avversario per una percentuale infima.
Bene: la settimana scorsa, con una serie di messaggi di critica fortissima alle politiche ambientali di Lula, la ministra dell’Ambiente Marina Silva si è in pratica dimessa dall’incarico, accusandolo di voler estendere le ricerche di pozzi di petrolio specie nella selva, distruggendola ancor più degli incendi che in questi ultimi tempi sono altamente aumentati rispetto addirittura a quando Bolsonaro era Presidente.
Ma come: colui che aveva promesso un Brasile ambientalista e “green” improvvisamente si contraddice provocando le importanti dimissioni di un suo Ministro? A dir la verità il malumore sta serpeggiando in tutto il Paese e molti dei grandi elettori e sponsor politici di Lula si sono già pentiti di averlo appoggiato.
Ma la cosa ridicola riguarda proprio Marina Silva: di origini umilissime, nacque nel 1958 in una colocação (un tipo di palafitta). Iniziò a lavorare come donna di servizio e quindi si laureò in Storia, per poi abbracciare l’ideale ambientalista e rendersi famosa al punto che, durante il suo primo mandato, Lula la promosse a… ministra dell’Ambiente, incarico che occupò dal 2003 al 2008, dimettendosi quando scoprì che il suo Presidente aveva dato via libera al disboscamento dell’Amazzonia, dopo anni di protezionismo sotto il suo incarico.
In seguito, diventata avversaria di Lula essendosi dimessa dal partito PT nel 2009 e appartenente al Partito Verde, decise di presentarsi alle elezioni presidenziali del 2014 dove, nonostante un 20% dei voti raccolti, non riuscì a contrastare l’ascesa alla massima carica dello Stato da parte della “delfina” di Lula, Dilma Rousseff.
Ma inspiegabilmente (o per puro calcolo politico un po’ assurdo) Silva torna ad appoggiare Lula nelle ultime elezioni e viene da lui rinominata ministra dell’Ambiente… incarico dal quale si sta ora ri- dimettendo per le ragioni sopra esposte.
Resta il “mistero” di come mai una donna così in gamba e che ha avuto una vita colma di sacrifici ma con soddisfazioni immense, ottenute grazie ai suoi sforzi, possa essere caduta in una situazione che altro non è che la dimostrazione, questa volta ad alti livelli, di come il populismo dalla “bacchetta magica” riesca a convincere anche chi ha sofferto le conseguenze del tradimento dei suoi nobilissimi ideali. D’accordo… Bolsonaro non era proprio il massimo, vista la immagine mediatica negativamente martellante diffusa dai media e che ha portato un Paese intero a ricredere in un personaggio già discutibilissimo in passato, ma che ciò possa accadere a una ex Ministra delusissima resta comunque un mistero. Ma tant’è: ormai si è aperta una breccia importante nella conduzione sempre più catastrofica del Brasile e credo proprio che a questo punto, vista anche la minoranza di cui gode il suo partito nell’attuale Governo, il Presidente stia veramente tra l’incudine e il martello di una conduzione che non verrà di certo ricordata con piacere in un prossimo futuro… bacchetta magica permettendo!
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