Nel panorama latinoamericano il Brasile è da sempre una potenza economica che non ha eguali nel continente, ma volendo fare un paragone con la confinante Argentina (da sempre considerata come l’eterna promessa per le sue immense ricchezze e, al contrario del Brasile, scarsamente popolata in rapporto all’immensità del territorio) si può certo affermare che mentre il Paese governato da Javier Milei punta decisamente a uscire da una crisi che sembrava perenne attraverso un presunto trionfo del liberalismo economico e politico, il colosso verde-oro, specie da quando, due anni fa scarsi, si è registrato il cambio di presidenza tra Jair Bolsonaro, personaggio etichettato di estrema destra, e il ritorno del “mitico” socialista Lula da Silva, ha iniziato ad attraversare una crisi dalle molte sfaccettature (inclusa quella ecologica), ma la cui economia ha raggiunto una situazione veramente catastrofica, con la caduta libera del cambio del dollaro a valori superiore ai 6 reais.
Insomma, si ripete la vecchia storia nella quale il potere nelle mani di un populismo di sinistra si rivela (come accaduto in altri Paesi) un rimedio peggiore del male che si voleva estirpare. Crisi economica, diminuzione dei consumi, tagli giganti nelle spese statali e poi, ciliegina sulla torta, dati sconcertanti che dimostrano come, pure a livello ecologico (come commentavamo prima) si siano moltiplicati non solo incendi dolosi che stanno riducendo l’estensione della Fascia amazzonica, (polmone verde dell’intero continente, condiviso con Venezuela e la Bolivia), ma anche un aumento impressionante della mortalità tra le popolazioni indigene alcune delle quali (tra esse i famosissimi yanomami) sono a rischio di estinzione.
Secondo fonti brasiliane da noi interpellate, la gravissima crisi potrebbe avere un epilogo piuttosto inatteso, ma che fa parte di un piano studiato fin dall’insediamento dell’attuale Presidente e che il suo recente grave stato di salute ha ulteriormente accelerato.
Bisogna tornare indietro fin dall’inizio della campagna elettorale, quindi a più di due anni fa, quando i sondaggi davano Lula nettamente sfavorito nei confronti di Bolsonaro, al punto da costringerlo a cercare una profonda alleanza con tutto l’arco socialista e anche comunista, compreso un accordo con Gerardo Alckmin, uomo di spicco del Partito socialista brasiliano ed ex Governatore dello Stato di San Paulo (non troppo amato visti i pessimi risultati della sua gestione) e attuale Vicepresidente.
Questa “santa alleanza” produsse poi la vittoria di Lula e il suo ritorno alla presidenza, nella quale però, con estremo tempismo, si sono effettuati ricambi repentini che hanno di fatto allargato il potere dei socialisti (e di Alckmin di conseguenza) nell’attuale Governo.
Tutto tranquillo, quindi, con una situazione di potere fortemente nelle mani della coalizione vincente, fino ad arrivare all’attuale crisi, peraltro di non difficile previsione: e accade che, per la legge brasiliana, se a un Presidente accade qualcosa nell’arco dei primi due anni di mandato, si procede direttamente a nuove elezioni: se invece si supera il limite citato, il Vicepresidente assume automaticamente la massima carica dello Stato.
Già nel 2021, in piena crisi sanitaria dovuta al Covid e sotto la Presidenza di Bolsonaro, i dati economici davano un reais in piena caduta nel mercato valutario e quindi l’inizio di una crisi economica: per questa ragione l’opposizione chiese l’impeachment del Presidente, cosa che poi non avvenne per la pronta ripresa. Stiamo parlando di una valuta cambiata a 3,60 con il dollaro e non è difficile capire di come l’attuale situazione, dove il dato è quasi raddoppiato, costituisca il motivo per imporre le dimissioni di Lula e l’ascesa di Alckmin al potere.
C’è un altro dato importante da registrare in tutta questa baruffa politica: la candidatura di Lula Da Silva venne appoggiata dal Pcc (Primeiro comando de capital), una ex organizzazione terroristica all’epoca della dittatura militare in Brasile, poi convertitasi in un importante braccio del narcotraffico che, in pratica, ha nelle sue mani il potere nello Stato di San Paolo, capitale compresa.
L’aria che tira in Brasile è quindi molto brutta e il Pt (Partido do trabalhadores) di Lula sta correndo ai ripari con delle ragioni che vengono poi smentite dai fatti, come quella di incolpare le speculazioni finanziarie per l’ascesa del cambio del dollaro, mentre proprio la Banca centrale brasiliana contemporaneamente metteva sul mercato 24 miliardi di dollari per frenarla. Ma solo dopo il problema di salute del Presidente (a quanto pare dovuto a un’emorragia interna successiva a una sua caduta, avvenuta però due mesi prima) il dato, anche borsistico, è migliorato per ricadere ancora in crisi dopo la sua guarigione peggiorando ulteriormente al punto da far aumentare la tassa sulle operazioni con carta di credito di un punto, avvisando che si registrerà un ulteriore uguale incremento se la situazione non dovesse migliorare.
A peggiorare la situazione ci ha pensato la Banca centrale brasiliana, comunicando che l’attuale Governo ha un buco di circa tre trilioni di Reais, quando, sotto la presidenza di Bolsonaro, si era raggiunto un bilancio in attivo pur non lesinando a cospicui piani sociali per aiutare quella parte della popolazione in difficoltà. Ma bisogna riconoscere che sotto il Governo di Bolsonaro il ministro dell’Economia era Paulo Guedes, docente di questa materia ad Harvard, mentre l’attuale ministro è Fernando Haddad che, a suo stesso dire, di economia ha svolto solo un corso di 20 giorni, essendo un politologo. E i risultati si stanno vedendo: al punto che nel pieno dell’attuale crisi Haddad si è recato in vacanza.
Inoltre, le imprese nelle mani dello Stato stanno registrando perdite notevoli: ad esempio, la Petrobras, azienda petrolifera del Paese, ne ha accumulate per due miliardi, così come il Correio do Brasil, le poste del Paese.
Insomma, a detta di molti e con molta ironia, il piano di Lula una volta tornato Presidente venne battezzato con i termini di Unione e ricostruzione, ma visti i pessimi risultati raggiunti lo hanno interpretato col titolo di Unione per la corruzione, cosa che ricorda tanto il precedente Governo dello stesso Lula e quello della sua delfina Dilma Rousseff, pieni di scandali che hanno rischiato di non poter candidare l’attuale Presidente alle elezioni, poi avute con il l’aiuto di un grande amico, nonché avvocato, di Alkhmin, Alexandre De Moraes.
Una situazione difficile, quindi, e dagli sviluppi imprevedibili che potrebbero portare, come spiegato poc’anzi, a un cambio del potere che non promette nulla di buono.
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