MONTREAL – Dopo due anni di sconvolgimenti pandemici, la tradizionale processione della Via Crucis organizzata da Comunione e Liberazione è ripresa nelle strade del centro storico di Montreal (Canada). Molti avevano previsto che dopo le liturgie online ci sarebbe stato un calo della frequenza in chiesa con il ritorno alla normalità. Quindi era difficile sapere se i fedeli sarebbero stati ancora interessati a partecipare a una processione dal vivo, indossando maschere e prendendo precauzioni con il distanziamento sociale. Tuttavia, la Via Crucis è stata più popolare che mai, con quasi un migliaio di partecipanti che si sono mossi in silenzio tra le famose chiese antiche della città. Sono stata coinvolta nell’organizzazione del gesto e all’inizio di marzo, mentre cercavamo un’immagine rappresentativa per l’invito alla Via Crucis, un amico mi ha inviato una foto suggestiva: una versione contemporanea della Deposizione di Cristo. Questa volta, invece di una visione museale, è un’immagine ritwittata migliaia di volte: un crocifisso del XV secolo che veniva portato fuori dalla cattedrale armena di Leopoli, in Ucraina, per essere conservato in un bunker in modo da proteggerlo.



Quella stessa notte, mi sono messa in contatto con l’autore della foto, il fotoreporter portoghese André Luís Alves che ci ha immediatamente concesso il permesso di usarla. Con il tempo quaresimale segnato dall’angoscia e dalle sofferenze inimmaginabili della guerra in Ucraina, abbiamo seguito da vicino l’invito di Papa Francesco ad osservare una Giornata di digiuno per la pace il Mercoledì delle Ceneri, i suoi ripetuti appelli alla pace e l’Atto di Consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria nella festa dell’Annunciazione. Il Coro di Comunione e Liberazione nella preparazione degli inni per l’evento ha incluso un inno ucraino, Stradalna Maty (Stabat Mater), insieme a Bogoroditse Devo (Ave Maria) di Rachmaninov, un pezzo che faceva già parte del repertorio da molti anni. Anche se geograficamente il Canada è a mezzo mondo di distanza dall’Ucraina, il Canada ospita una delle più grandi comunità della diaspora ucraina nel mondo, con circa 1,4 milioni di persone. A Montreal ci sono oltre dieci parrocchie greco-cattoliche e ortodosse ucraine e le abbiamo invitate all’evento.



Pochi giorni prima della processione abbiamo ricevuto alcune lamentele dalla comunità ucraina che sollevava preoccupazioni sull’inclusione dell’opera di un compositore russo tra gli inni. Questa richiesta ha ricordato la cancellazione di un giovane pianista russo, Alexander Malofeev, che doveva suonare con la Montreal Symphony Orchestra, una decisione controversa, poiché il giovane musicista si era espresso pubblicamente contro la guerra. E una svolta ironica per una società multiculturale che milita contro ogni forma di etnofobia. Quando simili preoccupazioni sono state sollevate anche per la 13esima stazione della Via Crucis al Colosseo, abbiamo capito che non dovevamo farci distrarre da posizioni politiche o culturali, ma rimanere concentrati sulla proposta originale del gesto: un atto religioso profondo che conserva la memoria della Passione di nostro Signore, offrendo le sofferenze del mondo intero.



Tuttavia, il dialogo che abbiamo avuto ha lasciato il posto ad un altro incontro: quello di fronte alle profonde ferite invisibili provocate dall’abominevole violenza della guerra. Con sorpresa di tutti, il Venerdì Santo, non uno, ma tre sacerdoti ucraini, accompagnati dai membri delle loro congregazioni, si sono uniti a noi nella Via Crucis, che l’arcivescovo Christian Lépine, di Montreal, ha gentilmente accettato di guidare anche quest’anno. Tutti e tre i sacerdoti hanno portato la croce per le strade della vecchia Montreal, dalla storica Cappella di Notre-Dame-de-Bon-Secours alla Basilica di Notre-Dame, proseguendo alla Basilica di San Patrizio, la Chiesa gesuita del Gesù, per poi passare per Place Ville Marie e arrivare, tre ore e mezza dopo, alla Cattedrale di Maria Regina del Mondo.

Quando il coro ha eseguito Stradalna Maty in ucraino nell’iconica Basilica di Notre-Dame, la comunità ucraina si è alzata in piedi in totale riverenza. Alla stazione successiva, nella Basilica di San Patrizio, mentre il coro cantava Bogoroditse Devo in russo, si sono alzati ancora una volta con la stessa riverenza. Questo gesto è stato più forte delle parole: è stato un incontro con una fede ferma e incrollabile. Una fede che ha riconosciuto che la preghiera – la vera conversazione con Dio – supera le barriere linguistiche, nazionali o politiche. Nelle parole di Mons. Lépine, “L’amore è più forte della morte, l’amore è più forte della sofferenza, l’amore è più forte del male”.

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