La vittoria di Boric in Cile ha improvvisamente svegliato parte della sinistra italiana dal suo torpore, facendola inneggiare a un cambio epocale dopo anni di “pinochettismo”: quasi come se il dittatore cileno, ormai morto e sepolto, avesse in un certo senso mantenuto il potere in questi ultimi 40 anni, o chi per lui. Invece, purtroppo per loro, il Cile ha saputo superare benissimo le atrocità di una dittatura e incamminarsi, tornata l’alba della democrazia, in un cammino che lo ha proiettato, col tempo, ai vertici non solo politici ma anche economici.
L’alternanza di potere tra Governi di centrodestra e sinistra è stata proverbiale perché, caso unico o quasi (bisognerebbe includere pure l’Uruguay), la coalizione vincente alle elezioni, pur con le sue differenze, rispettava sempre gli accordi macro concertati con l’opposizione a livello di politiche di Stato. E ciò si è riflesso non solamente dal punto di vista di un’economia funzionante e positiva (tranne gli ultimi anni di crisi), ma anche su un risultato che, naturalmente, i nostri cari aficionados del pugno chiuso non hanno mai tenuto in considerazione. E cioè che mentre le nazioni in cui il populismo detiene il potere (Venezuela, Nicaragua, Argentina, Bolivia e Cuba) amano tanti i poveri da moltiplicarli, nel Cile questo dato scendeva fino all’8% della popolazione e anche negli ultimi due anni il Paese è risultato essere il terzo con gli indici più bassi (10,9% nel 2020 e 10,7% nel 2019) dopo Uruguay (3% e 5,1%) e, udite udite, il Brasile di un tal Bolsonaro che viene visto dall’organizzatissima distorsione mediatica del cosiddetto progressismo o sinistra (sic) che dir si voglia come una specie di Satana. E a leggere le statistiche pubblicate dall’ultima informazione del “Panorama Sociale Latinoamericano”, addirittura, negli ultimi due anni, il Brasile è quello dove la povertà si è abbassata di più (19,2% nel 2019 e 16,3% nel 2020). Viceversa nelle nazioni dove il populismo la fa da padrone, come sottolineavamo prima, gli indici di povertà sono altissimi, iniziando dall’Argentina (27,2% nel 2019 e ben 37% nel 2020) per poi passare alla Bolivia (31,1% contro il 37,5% del 2020) d a un Nicaragua (46,3% e 50,7%) che è seguito dall’ Honduras (52,3% e 58,6% del 2020) che chiude questa tragica classifica, dove però non è dato conoscere il dato del Venezuela. Secondo altri dati di statistiche differenti, facenti riferimento come ultimo anno al 2017, l’indice di povertà ha lì raggiunto l’87%!
Ora la cosa curiosa risiede nel fatto che, nonostante il Cile da 40 anni risulti essere il miracolo economico della Regione, e dal 2005 al 2020 il tasso di crescita del Pil pro capite abbia doppiato la media dei Paesi latinoamericani, la percentuale dei cileni che pensava che questa crescita si fosse fermata o in decadenza è passata dal 39% all’87%. Mentre in America Latina il dato riferito allo scorso anno è mediamente dell’85%. Con un picco del 91,5% in Argentina, nazione in cui il populismo è tornato al potere e sta affondando, con le sue politiche “rivoluzionarie” il Paese e che, naturalmente, ha applaudito il ritorno del Cile tra i soci del club, dopo decenni di “regime pinochettista” (sic!, come si vede questa credenza non è solo italiana) dimenticandosi che proprio il Generale Peron fu tra i più accesi sostenitori della dittatura cilena degli anni ’70 e che molti attuali esponenti del kirchnerismo furono collaboratori di quella genocida argentina degli stessi anni (Alicja Kirchner, i giornalisti Timmerman e Verbitsky e il “progressista” giudice Zaffaroni).
Ora ci sarebbe da domandarsi se il fenomeno studiato diversi anni fa e chiamato “paradosso di Huntington”, dal nome del suo creatore, costituisca una realtà che, nonostante il trascorrere del tempo, rimanga costantemente valida. E cioè che anche quando il liberalismo economico produce effetti positivi sulle condizioni di vita degli abitanti di una nazione, questi lo critichino aspramente anche quando i risultati, nei regimi di segno opposto, dimostrino chiaramente i disastri di questi ultimi.
Nonostante il Cile risulti essere il Paese più ricco del Sudamerica i suoi abitanti, come si vede dai dati, hanno criticato il modello più che i loro confratelli che subiscono i terremoti economici del populismo. Altra cosa da segnalare risulta quella di un sistema democratico che ha funzionato benissimo nel Paese andino finora, tanto che l’elezione di Boric a prossimo Presidente è stata celebrata anche dai suoi avversari politici che, dall’attuale Presidente Piñera, hanno espresso le loro congratulazioni per il risultato andandolo a incontrare. Ricordiamo come nella vicina Argentina, quando Macri vinse le elezioni nel 2015, Cristina Kirchner rifiutò di partecipare alla cerimonia di passaggio dei poteri (il cosiddetto “bastone del comando”) che storicamente ha sempre segnato la debole democrazia argentina.
Ora vedremo se il ritorno di certi ideali in Cile provocherà quei benefici che da tempo i futuri detentori del potere hanno promesso nelle loro proteste e campagne elettorali, oppure se si assisterà alla ripetizione della solita storia. Di certo i cileni pare non abbiano compreso appieno le ragioni della loro prosperità (un’economia libera che incentiva sia il risparmio che il lavoro), in una confusione che rischia di installarsi così come da decenni impera in altri Paesi latinoamericani che sono passati dalla ricchezza alla povertà più assoluta. Argentina, Cuba e Venezuela sono lì a dimostrarlo e c’è da augurarsi che Boric non porti il Cile sulla stessa strada, anche se il leader degli imprenditori cileni, Juan Sutil, ha dichiarato come il nuovo Presidente abbia “l’opportunità di realizzare i cambiamenti richiesti dalla società”. E li può compiere in una forma efficiente e corretta, oltre che razionale ed equilibrata. Visto che i Paesi in crescita sono quelli che posseggono stabilità. Ossia l’arma che ha permesso al Cile di emergere negli ultimi 40 anni di una vera democrazia.
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