Il Cile ha sempre vantato da decenni (e non solo nel panorama latinoamericano) una democrazia invidiabile che ha inoltre permesso al Paese un boom economico tale da permettere di arrivare al coefficiente di povertà più basso dell’intero Sudamerica. Dopo il triste periodo della dittatura di Pinochet, si è assistito a un ricambio di potere tra coalizioni sia di destra che di sinistra (e relativi Presidenti) che non hanno mai mancato di instaurare un dialogo con l’opposizione e di varare con essa piani statali a medio e lungo termine sempre rispettati da chi entrava nei palazzi del potere.
Ora però qualcosa sta radicalmente cambiando e il 19 dicembre assisteremo, nella tornata finale delle elezioni alla Presidenza, a una situazione nuova per il Paese: quel giorno difatti si affronteranno José Antonio Kast, appartenente a una destra radicalizzata e definita pinochetista e da Gabriel Borich, leader della coalizione di estrema sinistra Apruebo Dignidad, sorta dalle rivolte sociali e manifestazioni violente che hanno caratterizzato il 2019 cileno.
I due candidati sono sorti dalla tornata elettorale del 21 novembre scorso e che hanno riguardato non solo le elezioni generali ma anche la riforma della Costituzione che era stata l’epicentro della protesta inizialmente pacifica di due anni fa, poi trasformata in violenta da gruppi di facinorosi provenienti sia dall’Argentina che dal Venezuela.
«Disgraziatamente dei sette candidati presenti alla prima tornata sono rimasti solo quelli che rappresentano schieramenti politici opposti», commenta Bruno Giovo, imprenditore di origini italiane nel settore della moda e cofondatore di un’azienda (chiamata Lineatre) con il fratello Hugo e la sorella Gilda di grande importanza nel mercato tessile cileno. «Quindi, stiamo vivendo una campagna elettorale polarizzata e bellicosa perché, chiaramente, sono rappresentanti di due modelli politici contrapposti e bisogna dire che il primo risultato, con un distanziamento tra i due principali candidati di soli due punti, ha in parte sorpreso la destra estrema che, dopo i disordini occorsi che hanno incluso incendi appiccati a stazioni della metropolitana, ospedali e chiese, ha avuto una risposta categorica da parte di un’opinione pubblica inorridita dai disordini accaduti e la conseguente onda di violenza generata».
C’è da dire che la riforma della Costituzione promessa dall’attuale Presidente Piñera e portata avanti sia con un referendum che l’ha approvata che con la creazione di una commissione è stata la carta con cui la difficile situazione in cui versava il Cile si è momentaneamente risolta.
Da alcuni mesi questa commissione, a maggioranza di sinistra, sta lavorando a una nuova Costituzione che parte da una pagina in bianco e dove si registrano moltissime novità, alcune delle quali necessarie e altre di puro stampo politico. Il fatto è che la questione ha provocato anche una ondata di panico nel Paese per l’attitudine definita dalla sinistra una vera e propria “Assemblea Costituente” sul modello di quelle venezuelane, boliviane ed ecuatoriane. E questa paura di finire in un populismo di stampo chavista spiega il risultato delle primarie.
Quindi come vede le elezioni di dicembre?
La tornata del 19 sarà sicuramente equilibrata, almeno nelle previsioni, ma tutti sappiamo che i prossimi anni saranno complessi per il Cile, perché, tra gli effetti della pandemia e quelli dei disordini sociali, l’economia ha registrato un rincaro dei prezzi e un livello inflazionario che finora era sconosciuto per il Cile, intorno a un 5% attualmente a livello annuale. Ciò significherà anche livelli di disoccupazione più alti e bisogna sperare che la situazione si risolva, equilibrandosi, in poco tempo. Già con le Camere divise equamente tra destra e sinistra la Commissione Costituente dovrà per forza abbassare i toni attuali perché rischia di perdere le elezioni, e la destra sta cercando suffragi nell’elettorato moderato che poi costituisce ancora una parte importantissima del Paese.
(Arturo Illia)
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