Il referendum indetto in Cile nell’ottobre scorso ha ottenuto un risultato oltre le più rosee previsioni, visto che più dell’80% dei voti è stato espresso a favore di una nuova Costituzione rispetto a quella vigente “firmata” da Pinochet nel 1980.
Così facendo il Presidente Piñera ha compiuto con la sua promessa e sabato e domenica scorsa si sono svolte elezioni per decidere come sarà composta la squadra politica che procederà al cambio costituzionale in un Paese che in questi ultimi anni ha sofferto proteste non solo per quanto concerne la problematica appena esposta, ma anche per una situazione che vede i ceti meno abbienti praticamente con un’assistenza sociale quasi inesistente. Il che ha creato una spaccatura importante, anche se ci sono da fare alcune considerazioni.
A dispetto della sua Costituzione attuale, il Cile rappresenta, nel panorama latinoamericano, una nazione che ha saputo combattere efficacemente la povertà ed è dotata di un’economia funzionante, anche se nelle mani di poche persone che da sole la comandano. Insomma, con l’Uruguay il Cile costituisce uno Stato dove, all’opposto delle nazioni nelle quali comanda il populismo, i gruppi politici, pure di opposte tendenze, sono sempre riusciti a concepire un sistema Paese attraverso accordi che, governi chi governi, costituiscono degli obiettivi comuni di politica di Stato da perseguire costantemente nel tempo.
In questo quadro, che ha sempre funzionato come una democrazia invidiabile anche per nazioni di altri continenti, si è però inserita da anni una componente populista che, attraverso la violenza e il suo sfruttamento mediatico, pretende alla fine far scendere il Cile nel caos per seguire il cammino di una venezuelalizzazione, fenomeno che sta investendo, con situazioni differenti, Paesi come l’Argentina e la Colombia.
Le giustificatissime proteste di una società vengono così distorte attraverso la presenza di gruppi armati provenienti da altri Paesi che trasformano movimenti pacifici in violenti e provocano reazioni spesso sconsiderate da parte delle forze dell’ordine: nulla di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire, ma il fatto esiste ed è ampiamente documentato.
Nel fine settimana appena trascorso i cileni hanno eletto, tra 1.300 candidati, i 155 rappresentanti che formeranno la Commissione Costituente che, lo ripetiamo, avrà come compito redarre una nuova Costituzione: tanto per confermare quanto l’ideale democratico sia sviluppato, il meccanismo di scelta dei rappresentanti si è basato sulla parità di genere, e quindi garantirà il 45% dei seggi alle donne, riservandone poi un 17% anche alle comunità indigene.
Eletto il Comitato, esso avrà 9 mesi per presentare un nuovo testo costituzionale: la tempistica, nel caso, potrà essere ampliata di 3 mesi una sola volta e poi a lavori ultimati (dovrebbero esserlo nella prima metà del 2022) si passerà a un nuovo plebiscito che dovrà approvare o meno il testo.
Nella stessa tornata elettorale appena trascorsa si è proceduto anche a eleggere sia i sindaci che i consigli di amministrazione delle 346 municipalità che compongono il Paese, ma anche se mentre scriviamo non sono apparsi i risultati possiamo già trarre delle conclusioni.
In primo luogo, c’è da considerare che, sebbene l’opposizione all’attuale Governo sia composta da partiti di sinistra o progressisti che hanno poi organizzato le “pacifiche” proteste del 2019, la loro prevista vittoria sarebbe un risultato più teorico che altro, sia perché al loro interno esistono divisioni notevoli, sia perché i partiti di centro non appoggeranno la maggior parte delle decisioni, creando uno spazio di dibattito (speriamo non sponsorizzato da violenze di vario genere, tra le quali incendi di chiese) all’interno del quale, alla fine, si produrrà un documento sì di cambiamento rispetto all’attuale, introducendo mutamenti notevoli nel sociale, ma senza distruggere un’architettura di Stato che, lo ripetiamo, ha prodotto risultati notevoli nel Continente latinoamericano. In un’evoluzione che, speriamo, possa creare un liberalismo etico che elimini le storture dell’attuale sistema e possa far decollare definitivamente il modello cileno come esempio non solo nel proprio continente ma da replicare nel difficile post-Covid che attende il mondo intero.
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