La Colombia non fa eccezione, come ad esempio l’Uruguay dove il virus non dà più segnali importanti, in questo inverno latinoamericano che ha come fattore comune innalzamento del numero di contagi da Covid-19: il ministero della Salute ha confermato 444.100 casi che, seppure con un altissimo indice di recuperi (più di 274.000), ha visto i decessi già a quota 14.000. Questo nonostante si siano raggiunti quasi i 3 milioni di test, cifra considerevole, anche se, sempre secondo le previsioni del Ministero, il Covid-19 ha raggiunto il suo massimo livello di contagio e quindi si attendono numeri in discesa.



Nel frattempo il Presidente Duque, al pari dei suoi colleghi del Continente, è alle prese con il problema conseguente, generato a livello mondiale dal coronavirus: un’economia in ginocchio, conseguenza delle quarantene dure, e l’urgenza di riaprirla al più presto onde evitarne il collasso. Per questa ragione dal 1° settembre, pur con il rispetto dei protocolli sanitari, il Paese riaprirà i cieli al traffico aereo.



Ma al Covid si è aggiunto un altro problema che rischia di far saltare l’attuale Governo: l’ex Presidente Uribe, che ha occupato la carica dal 2002 al 2010, è stato arrestato con l’accusa di aver diretto gruppi paramilitari con i quali iniziò un piano di torture sistematiche specie nei riguardi dei gruppi, altrettanto paramilitari, delle Farc, forze “rivoluzionarie” da sempre al servizio del narcotraffico, l’attività che nel passato recente è stata quella più prosperosa del Paese, ma che ne ha pure segnato la storia con guerre tra i vari poteri narcotrafficanti. L’influenza dei narcos arrivò fino al punto da provocare azioni di guerra contro lo Stato, ormai in balia dei vari cartelli che di fatto esercitarono il potere al punto che il più famoso dei capi narco, Pablo Escobar, arrivò a offrire l’intero ammontare di denaro corrispondente al debito della Colombia sia con il Fmi che con un gruppo di banche internazionali.



Dobbiamo arrivare alla Presidenza di Belisario Betancour (1982-86) per iniziare a vivere un processo di pace con la guerriglia (sia dell’Eln che delle Farc) che però lasciò aperta la porta al potentissimo Escobar che solo durante la Presidenza del liberale Cesar Gaviria venne chiusa definitivamente nel 1993 con l’uccisione del leader narco. Il leggendario capo, la cui morte venne pianta dalle classi più povere del Paese, visto che durante il suo “regno” aveva trasformato le villas miserias di Medellin e di altre città del Paese in posti vivibili, sostituendosi allo Stato in questa funzione, aveva con Gaviria una relazione prospera che però si ruppe quando Escobar non rispettò l’accordo che aveva fatto con il Governo, provocandone la rottura e la conseguente caccia che culminò con la morte del leader narco il 2 dicembre 1993 nella sua Medellin.

Ma è chiaro che, nonostante da allora ci sia stata una riappacificazione nel Paese e l’economia abbia dato risultati importanti anche al di fuori dell’attività cocalera (ci troviamo di fronte a uno dei Paesi più ricchi del mondo), l’influenza dei cartelli della droga e i suoi confini con la guerriglia armata non sono scomparsi ed è questo che Uribe ha cercato di combattere pur tra mille sospetti di connivenza con cartelli nemici delle Farc.

Ora una denuncia presentata da diverse organizzazioni per i diritti umani davanti alla Corte di Ginevra in cui Uribe è denunciato per uso sia di gruppi paramilitari che di un aumento dei casi di tortura dell’80%, esercitati dai poteri dello Stato sia durante la sua Presidenza che quando ricopriva la carica di Governatore di Antioqia, uno dei 32 Dipartimenti della Colombia che ha per capitale Medellin, arriva come un macigno per l’attuale Presidente che già da mesi ha da gestire una situazione difficile sopratutto per le massicce proteste, organizzate dall’opposizione, a causa dei tagli fortissimi ai salari, alle pensioni, oltre a quelli all’educazione. A ciò si aggiungono accuse di genocidio delle comunità indigene del Paese e la scarsa applicazione dell’ulteriore accordo di pace siglato nel 2016 con la guerriglia, in special modo le Farc.

Il processo di sostituzione dell’illegale coltivazione della coca con altre legali ha subito un rallentamento che ha vieppiù aumentato il tenore delle proteste, allargatesi a tutto il Paese, accusando Ivan Duque di sabotarlo e con esso di rallentare la pacificazione totale, fatto che potrebbe riportare la Colombia nel caos.

Come si vede il Covid-9 anche qui ha causato danni su di una nazione già con grandi problemi di stabilità sia economica che politica e sociale e ora tocca proprio a Duque, compagno dello stesso partito politico di Uribe, disinnescare una bomba che, se dovesse esplodere, riporterebbe la Colombia indietro negli anni di piombo dai quali faticosamente sta tentando di uscire: ma bisogna urgentemente che il Presidente faccia estrema chiarezza e proceda nella giusta direzione.

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