Centonovantasette. Tanti sono i migranti ospitati oggi nel centro di prima accoglienza di Lampedusa. 197 in un centro che a malapena dovrebbe ospitarne 97. Il centro di Lampedusa scoppia. Chi si occupa di salvataggi in mare, e in queste settimane è impegnato a contrastare quella che definisce la “deriva razzista” del governo, non vuole sentir parlare di emergenza. La parola stessa teme possa offrire il fianco agli attacchi del ministro Salvini, che possa fargli ancora un favore sul fronte elettorale, del consenso.
Ma i fatti sono testardi e Lampedusa vive un problema. Lo ha ammesso anche il sindaco Totò Martello, che poi si è trovato a dover specificare che non voleva in alcun modo offrire il fianco; che il Comune non ha nessuna competenza sul centro di accoglienza e così via. Ma il problema c’è e Lampedusa ricorda giorni molto difficili negli anni passati, anche se quel livello di presenze fu molto diverso dall’attuale.
Questo è il clima che si respira a Lampedusa. Da una parte, la paura di una vera nuova emergenza. Dall’altra, la paura delle parole, di essere associati ai razzisti, soprattutto adesso che l’isola ha votato consistentemente Lega.
Un clima che è, nel microcosmo lampedusano, lo specchio del clima di un Paese diviso in due fra diverse tifoserie. Per questo è stata accolta come buona notizia lo sbarco dei 65 migranti della Alan Kurdi a Malta o quantomeno il via libera del governo maltese, che poi li ridistribuirà in vari paesi europei.
Sono state e restano, però, ore difficili. La Sea Watch prima, il veliero Alex dopo, sono solo l’avanguardia di ciò che potrebbe succedere per tutta l’estate. Da una parte ci sono le Ong e dall’altra il governo. Nel mezzo la magistratura che sembra stare più dalla parte delle Ong, almeno in questa parte del mondo italico: il tribunale di Agrigento. Ma indagati, al momento, ci sono il capo missione di Mediterranea Saving Human, il parlamentare di Leu, Erasmo Palazzotto, e il comandante del veliero Alex, Tommaso Stella, anche se la Ong a sua volta ha presentato un esposto.
C’è attesa, poi, per l’interrogatorio di Carola Rackete, la comandante della Sea Watch, che è ancora qui a Lampedusa. Su di lei, scarcerata dal Gip, pende un “ordine di espulsione” dall’Italia, ma la magistratura lo ha bloccato almeno fino all’interrogatorio di martedì.
A Lampedusa si teme che questo continuo braccio di ferro abbia conseguenze sulla stagione turistica e sui trasporti con il porto, spesso coinvolto in arrivi e tentativi di blocco navale. Ma grosse navi come la Sea Watch a Lampedusa incidono anche sul trasporto aereo. Con un pennone alto che svetta sul porto gli aerei non possono atterrare o decollare dal vicino aeroporto.
Ma più ancora di tutto ciò i lampedusani temono gli sbarchi fantasma. Un barchino con a bordo dieci migranti è approdato anche nella serata di domenica a cala Galera. I migranti sono stati tutti bloccati. A sorprenderli, mentre si stavano dirigendo verso l’ex base Loran, che è la parte alta di Lampedusa, sono stati i carabinieri. Tutti sono stati portati all’hotspot di contrada Imbriacola, che così arriva a 207 ospiti.
Furono gli sbarchi fantasma senza controllo nel 2010 e 2011 a portare l’isola al collasso, con migranti che dormivano in strada, nei portoni dei palazzi, nelle barche tirate in secco, semplicemente all’aperto sulla banchina del porto vecchio. E sono gli sbarchi fantasma a far fuggire i turisti quando i barchini cominciano ad arrivare in spiaggia e sbarcare fra i bagnanti. Circostanze che in quegli anni si dice fossero state create ad arte. Circostanze poi arginate con le operazioni a cui iniziò a prendere parte l’Unione europea.
Oggi la paura è proprio questa, che lo scontro, i blocchi navali, la contrapposizione ideologica riporti i trafficanti a organizzare navi madri e barchini che arrivano alla spicciolata in piccoli gruppi. Sono già sei quelli arrivati nell’ultima settimana e la strategia sembra essere quella. In fondo, dei 207 di contrada Imbriacola meno della metà sono stati portati dalle Ong. Gli altri sono tutti “fantasmi”.