Gerusalemme non ha eguali, dunque non teme paragoni. Questo, quando ancora il pellegrino è lontano da essa, balza subito all’occhio: è folgorante nella morsa delle sue mura brune, si eleva alta e magnifica sul verde delle sue valli e delle sue colline. Anche Cristoddìo, a prescindere da com’è andata poi a finir la storia, l’aveva vagheggiata con un amore misto al cordoglio: “Gerusalemme, tu che metti a morte i profeti, e uccidi a colpi di pietra quelli che Dio ti manda”.



Lei, invece, si è fatta beffe di Lui e sembrò dubitare persino dell’integrità dell’amore che nutriva per lei: “Quante volte ho voluto riunire i tuoi abitanti intorno a me, come una gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali. Ma non hai voluto”. Questa storia, la più assurda e ambiziosa storia mai più vissuta da alcuno, è impressa nelle pietre: scivolose, luccicanti, levigate, accaldate. Ingannatrici e profetiche, a tratti appuntite, altre volte coccolose ai piedi stanchi. Le pietre delle sinagoghe, le pietre della Spianata delle moschee, le pietre del Muro del pianto: le pietre del Santo Sepolcro.



Gerusalemme è una città strana, ha tre giorni di festa su sette: il venerdì fan festa i musulmani, il sabato gli ebrei, la domenica i cristiani. Sono in tre, in questi pochi metri quadrati, a spartirsi il necessario. Tre religioni, tutte e tre con una pietra sacra: il Muro per l’ebreo, la roccia dell’ascensione al Cielo di Maometto nella moschea di Omar per il musulmano, la pietra ribaltata del Santo Sepolcro per il cristiano. Insistono tutte e tre negli stessi metri quadrati: motivo per cui Gerusalemme è un concentrato di nervi, il centro propulsore del sistema nervoso mondiale, religioso. Guardan tutti qui, a Gerusalemme, ad ogni pisciata di cane: perché ha una sensibilità ad altissima definizione. E per tal motivo è da qui che s’innestano conflitti che vanno poi ad allargarsi altrove, al mondo intero.



Il suo patriarca, padre Pizzaballa, è un bergamasco d’origine controllata. È uno di quelli che, da oltre trent’anni quaggiù in Oriente, s’è costruito giorno dopo giorno la sua identità, con la stessa attenzione minuziosa con cui il bergamasco si costruisce casa. “La schiena, come il muro, dev’essere dritta, la testa a livella, o meglio a bola” insegnano nei paesi delle Orobie. “Qui ogni religione ha la sua narrativa – ci dice, passeggiando in città –: è che la narrativa di uno non sempre calcola quella dell’altro. Dovremmo sforzarci un po’ tutti di considerare che non ci siano trovati qui per una coincidenza, ma per Provvidenza”.

Tutt’attorno è di una fragilità imbarazzante: il commercio nel suq, le grida sguaiate, i militari con i fucili in mano, l’odore speziato dell’aria che s’infila dritta nelle narici. A mettere fuori il naso dal proprio naso, s’intuisce al volo che l’accanimento della speranza (che non cede) diventa incitamento per ogni altra città minacciata. Tipo: “Se non salta in aria Gerusalemme, non salterà in aria nessun’altra!” Per questo, da più parti, si innalza un dubbio: che se Israele diventasse una terra stabile, sarebbe finita. Sembra incaricata di vivere come i gabbiani di Cardarelli, il cui destino è quello di essere “in perpetuo volo”, di “vivere balenando in burrasca”.

Qui, della pace duratura, tutto sembra dire che non si sia mai visto traccia, che non sia stato qualche sprazzo di sereno dopo ch’era fioccata una tempesta da capogiro. Anche qui, però, un distinguo, questa è la terra dei distinguo per non generalizzare: “Costruire la pace è difficile ovunque – continua il patriarca –: Gerusalemme ha una sua pace, anche se sembra strano a dirsi. Il fatto è che la mostra solamente a chi non è di fretta”.

Il fatto che in materia di pace e affini, poi, il mondo intero guardi a lei come (non) modello, è perché, voglia o no, è pur sempre un centro ad altissimo grado di nervosismo. Che, a dirla tutta, è anche il suo punto di forza, l’attrazione del suo essere. Perché a Gerusalemme, anche chi non compirà mai un pellegrinaggio, è comunque temporalmente diretto alla Gerusalemme celeste.

Nel frattempo, ciascuno alla maniera insegnatagli dalla sua tribù, prega che il Cielo gli sia favorevole: chi in ginocchio, chi dondolando il corpo, chi con la faccia rivolta al Muro, col corpo che oscilla avanti e indietro. È il richiamo d’una città sempre in bilico tra profezia e ridicolo, ascetismo e paura, contrattazione e adorazione. Se Gerusalemme decidesse di mettere la testa a posto non sarebbe più lei. Perché qui a stupire non è l’immensità ma l’intensità.

Ch’è appiccicata un po’ dappertutto.

(6 – continua)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI