Come avevamo previsto, sulla questione Venezuela sia la Spagna che il Messico hanno fatto decisamente marcia indietro e in pratica hanno riconosciuto la frode elettorale di Maduro nelle elezioni. Difatti venerdì scorso il Governo di Pedro Sanchez ha affermato che non riconoscerà Edmundo Gonzales Urrutia come Presidente del Venezuela, nonostante le prove schiaccianti della sua vittoria, mentre anche il Governo del Presidente socialista Lopez Obrador ha annunciato che non chiederà più a Maduro la pubblicazione degli atti ufficiali che certifichino la sua “elezione”.
La Spagna ha di fatto confermato la sua decisione che, secondo il ministro degli Esteri Josè Manuel Albares, sarebbe allineata con la posizione ufficiale dell’Ue, che insiste, sempre secondo lui, affinché sia il proprio popolo venezuelano a risolvere la sua crisi politica mediante il dialogo.
Nel corso di una conferenza stampa avvenuta durante una settimana di incontri di alto livello dell’Onu, Albarez ha dichiarato che, nonostante che informazioni indipendenti suggeriscano il contrario, la Spagna si mantiene fermamente sulla posizione sopra citata. Inoltre, ha riferito come, nel corso di una riunione avvenuta con il suo omologo venezuelano Rander Peña, si siano discussi altri temi come per esempio la detenzione di due cittadini spagnoli nelle carceri venezuelane. Il tutto mentre 31 Paesi insistono, attraverso manovre diplomatiche, affinché vengano rese note le prove ufficiali del risultato elettorale: ma il bello è che tra questi Paesi appare “magicamente” la stessa Spagna, che in pratica deve aver preso lezioni da Ponzio Pilato e, con due decisioni di senso opposto, se ne lava candidamente le mani.
Al contrario, come ripetiamo, molte altre nazioni vogliono invece vederci chiaro nella faccenda, e ha fatto scalpore la dichiarazione del Presidente di Panama, Josè Raul Mulino, che ha detto senza mezzi termini come “dichiarare un trionfo elettorale senza mostrare gli atti è come vincere un processo senza mostrare le prove”.
Come detto prima, anche il Messico in pratica si è allineato alla posizione spagnola: ma in questo caso la retromarcia era abbondantemente prevista, giacché il Paese centroamericano da quando, nel 2018, Andres Manuel Lopez Obrador ha assunto la presidenza, ha dimostrato di avviarsi in un cammino molto simile a quello chavista assunto in Venezuela, dimostrando che Fredrich Hayek, nel suo libro “Il cammino della servitù” nel 1944 aveva già capito come alcune democrazie occidentali abbracciassero tendenze autoritarie che avrebbero dato origine a regimi totalitari. Nell’America Latina la cosa si è manifestata più volte e ora credo che anche all’interno dell’Ue si stia percorrendo un cammino molto simile.
Lopez Obrador, difatti, è un politico di forti convinzioni socialiste ed espresse in un suo libro la convinzione che il problema principale del Messico fosse quello della corruzione, ma accusando come fonte di questo preoccupante fenomeno sia la privatizzazione di imprese che la proprietà privata. Nonostante queste precise accuse e messo in moto un piano per contrastarle il più possibile, nel corso della sua presidenza il Pil messicano in pratica si è bloccato a una cifra vicina allo zero. Ma le recenti elezioni presidenziali che nel Paese sono state vinte dallo stesso partito e hanno portato alla Presidenza la sua delfina Claudia Sheinbaum, hanno dimostrato che la partita ideologica è ancora orientata per un proseguimento del piano di Obrador e che la nuova Presidente, che sarà in carica dal 1° ottobre, proseguirà ancora più profondamente nel cammino di riforme del suo predecessore.
Quello che viene da chiedersi è come mai, nonostante i deludenti risultati economici, la fiducia della gente sia ricaduta su chi vuole, in un certo senso, proseguire verso una direzione non proprio vincente, anzi. La risposta è in pratica la stessa che permise più di venti anni fa la scalata al potere in Venezuela da parte di Hugo Chavez e l’inizio della tragedia della crisi più grave sofferta dal Paese Caraibico: il Movimento di Rigenerazione Nazionale, fondato da Obrador nel 2014, si è difatti rivolto promettendo riforme e un cambio generale che avrebbe creato uno Stato in grado di mantenere, attraverso sussidi e altre iniziative simili, sia i giovani che gli anziani, due categorie che non solo in Sudamerica rischiano di non avere un futuro, comprandosi in questo modo il loro voto anche attraverso una candidata che pare ripercorrere la stessa rotta di adesione a uno sviluppo “sostenibile” aderendo alle tematiche tanto care al famoso piano che nel 2030 dovrebbe portare a cambiamenti radicali anche nella nostra Ue, attraverso imposizioni che però alla luce dei fatti reali sembrano improponibili e stanno portando alla spaccatura netta in seno alle Nazioni Unite.
È altrettanto chiaro che quando parliamo di imposizioni escludiamo a priori un confronto democratico di livello ideologico sulle questioni e quindi un cammino molto simile a quello del “socialismo” venezuelano e alla distruzione dei valori democratici che hanno contraddistinto un benessere vissuto per decenni. Tenendosi però stretto il mezzo delle elezioni per dare una parvenza di pluralità che poi, nei fatti, non esiste, come dimostrato non solo dal caso Venezuela, ma, a questo punto, da altre votazioni occorse: sarà quindi fondamentale la data delle elezioni negli Usa per capire se questa tendenza riporterà il mondo verso un totalitarismo che tanto ricorda quello espresso nel secolo scorso che poi è stato la causa dell’ultimo conflitto mondiale.
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