La recente riflessione di Giorgio Vittadini (Come evitare il crollo del welfare) pone al centro del dibattito politico-istituzionale e culturale il sistema territoriale dei servizi alla persona. Val la pena riprendere il tema, evidenziando il difficile percorso attraverso la “frontiera meridiana”. Nei territori del Mezzogiorno i bisogni delle persone e delle famiglie crescono a dismisura, specialmente nel post-pandemia. I sindaci si dibattono in problemi crescenti dal punto di vista della tenuta finanziaria delle amministrazioni locali; in particolare i piccoli Comuni vanno incontro ad una incalzante desertificazione, smarrendo il senso stesso della convivenza umana. I giovani fuggono per assenza di prospettive lavorative, dilatando il vuoto: “Mezzogiorno di vuoto”.



L’8 novembre 2000 si inaugurò un nuovo corso con l’approvazione della Legge Quadro sul sistema integrato dei servizi sociali e socio-sanitari: in pratica la fondazione del welfare locale. Non più contributi economici ai singoli Comuni su interventi frammentati per le persone più fragili, bensì la cooperazione interistituzionale tra i Comuni associati, con ruolo decisivo del Terzo settore. Per molti aspetti, una riforma tradita. Nel corso degli anni, il Fondo Nazionale Politiche Sociali ha evidenziato le sue criticità, sia per l’entità delle risorse rispetto ai bisogni emergenti, sia per grave il ritardo con cui avviene il trasferimento delle stesse agli enti locali. Inoltre, si sono registrate gravi resistenze al cambiamento sul piano dell’inadeguatezza degli assetti organizzativi dei Comuni.



Tuttavia, le ombre non oscurano il metodo lungimirante ed incisivo della riforma. In un quadro contraddittorio, il lavoro sinergico di tanti amministratori e delle realtà sociali, con l’abnegazione degli operatori, pur in condizioni lavorative precarie, ha garantito l’attuazione dei servizi essenziali: l’assistenza domiciliare alle persone anziane, l’assistenza socio-educativa agli alunni con disabilità ed altro.

Negli ultimi anni, l’incremento finanziario, a valere sui vari fondi, ha dato più consistenza, in vista soprattutto delle finalità del PNRR nella parte orientata alle fasce deboli, ai processi culturali verso autonomie locali più larghe e cooperative, oltre il municipalismo, sempre da correggere, con l’opera determinante del Terzo settore, che negli anni di avvio della riforma, nei piccoli territori meridionali, era di fatto inesistente.



In alcuni territori, gli interventi a favore dell’infanzia e dell’adolescenza, definiti quali livelli essenziali, hanno raggiunto performances di notevole rilievo. Si tratta di un’indicazione importante per la valorizzazione delle esperienze di “economia dell’empatia”, in cui si realizza uno “scambio” di plusvalore umano tra la persona che offre il servizio e la persona che è nel bisogno, generando innumerevoli opportunità di lavoro e di intrapresa. Economia compartecipata rispetto alla quale la sentenza n. 131/2020 della Corte Costituzionale apre significative prospettive in materia di co-programmazione e co-progettazione. In tale contesto, si pone il tema inderogabile e decisivo della garanzia dei Livelli Essenziali della Prestazioni sociali. Non solo da definire, ma anche e soprattutto da rendere finanziariamente attuabili.

È il tema costituzionale per eccellenza, distinto dalla questione dell’autonomia differenziata, precedendola e dando ad essa il giusto senso, mentre la libera da percezioni ed impostazioni ideologiche, settarie e parziali. Pertinente l’osservazione conclusiva di Vittadini: il welfare è la “sfida epocale” per il nostro Paese e per l’Europa. Il welfare locale, per la ricchezza della varietà culturale dei territori, fa scuola di democrazia, tessendo, senza interruzioni, le relazioni interpersonali e socio-istituzionali e quindi cooperando, in larga misura, al bene comune.

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