Come è imprevedibile la strada della vita. Nel suo svolgersi, ad un tratto, si apre un sentiero che non sai dove condurrà e poi ti ritrovi, dopo incroci, curve o rettilinei, in spazi e dimensioni nuove.

Portofranco, aiuto allo studio, fin dall’inizio di questa esperienza due sorelle tunisine vengono avendone bisogno, i genitori da anni in Italia. La madre ci invita al matrimonio di suo fratello. L’invito giunge inaspettato e la curiosità supera l’indecisione. Il matrimonio tunisino dura una settimana, diversi momenti di festa, noi parteciperemo a quello fra amici e parenti dello sposo e poi a quello finale tutti insieme. Dopo, approfitteremo del fatto che già siamo al centro della Tunisia per visitarla.



Volo di linea tunisino. Solo noi, nessun “turista” (non è il periodo), il resto solo “loro”. Che strano, ormai anche i nostri paesi, non dico città, sono multiculturali, incrocio volti simili anche sotto casa e allora perché questa sensazione di disagio ed estraneità? Sguardi, usi, costumi, religione, modi di sentire e vivere diversi, anche lontani. Percepisci la necessità di un “qualcosa” che non ti faccia sentire ignorato, che tu non sia trasparente.



Per la prima volta mi immedesimo nella situazione “capovolta”, speculare, loro da noi. Un sottile senso di vergogna per la mia presunzione occidentale subentra. All’arrivo a Tunisi ci accoglie il padre delle due sorelle (personalmente mai conosciuto) con queste semplici parole: “Siete ospiti a casa mia, casa mia è casa tua”. Incredibile, nei suoi occhi ogni “diversità” mia, tua, sua, ogni preconcetto spazzato via, vinto. Prima delle parole è lo sguardo che parla e accoglie. Alla festa i profumi della cucina locale ci accolgono con il via vai veloce dei camerieri sotto la guida del maître della cerimonia, nell’arena di questo verde prato allestito e la musica locale, suonata dall’orchestra, ci accompagnerà durante tutta la serata e le prime ore della notte.



Inevitabili sguardi al nostro incedere si volgono discreti e gentili verso noi e la connaturata accoglienza di questo popolo ancora una volta sconfigge quel residuale senso di diversità. I ricami in oro e i colori sgargianti degli abiti tradizionali delle splendide donne tunisine ci avvolgono e conquistano e si intrecciano i primi dialoghi con chi l’Italia l’ha frequentata o ci lavora ancora. L’arrivo degli sposi è annunciato dal ruggito delle moto di grossa cilindrata che aprono il corteo di oltre trenta vetture che giunge dalla strada. I numerosi bambini e giovani corrono all’ingresso ed il corteo nuziale si avvia verso il palco camminando su colorati tappeti fatti a mano della migliore tradizione, accompagnati dai genitori e amici più fraterni.

Iniziano canti e balli tradizionali. Il ritmo incalzante delle percussioni è coinvolgente, gli archi ed i tamburelli aprono allo spettacolo della danza del ventre.

Il mercato locale

Qual è l’idea che sorge naturalmente (nel senso del DNA) ad una donna, sia essa moglie o compagna o amica non importa, quando sei in villeggiatura e potresti stare spaparanzato a berti un caffè o un’ape? Andare al mercato.

Sembra che abbiano un GPS incorporato ad individuare e sapere il giorno e il luogo. E passi pure questo, qui però parliamo di mercato tunisino e si badi bene non quello turistico della Medina, ma quello “vero”, quello di tutti. Neanche l’assenza di accompagnatrici locali può far desistere le nostre intrepide donne. D’altronde se vuoi conoscere e toccare con mano come vive la gente-gente devi uscire dagli hotel ad aria condizionata, servito e riverito, ed immergerti negli odori e sudori del luogo, nelle fatiche o nelle gioie del comune vivere.

Innanzitutto, si va in auto, con la pacca sulla spalla dell’amico tunisino che impossibilitato a venire (sarà stato un caso?) mi dice “Io da voi seguo le vostre regole e modi di guida, qui le nostre”. Un incoraggiamento di quelli fantastici penso fra me e me! Bene, se avete guidato a Napoli area rione Sanità avete un’idea al 10% di quello che vi può aspettare qui.

Nel caos più assoluto un ordine naturale, nel disordine un grande ordine. Non importa che l’auto non abbia fanali o il retrovisore o il finestrino, l’importante che abbia il clacson, destra o sinistra nel senso della precedenza sono opinioni l’importante è comprendere chi ha fretta o no, se intende girare o no. Ci si guarda, si fa un gesto con la mano o con gli occhi e via…

Parcheggiamo, vi lascio immaginare come e dove. Siamo gli unici “stranieri”. Bancarelle ovunque, miscellanee di usato e generi alimentari. Vociare chiassoso fra tutti, venditori e acquirenti; si parla e ci si incontra ancora fra persone in Tunisia. Tante donne, molte velate senza esagerazione, altre vestite all’occidentale. Alcuni, sentendoci parlare fra noi ci chiedono se siamo italiani e ci sorridono, “Italiani fratelli, Italia vicina a Tunisia” ci dicono.

Ci si ferma, ci si sente orgogliosi di esserlo e soprattutto per quelle nostre generazioni che li hanno accolti. Raccontano del lavoro e dell’ospitalità ricevuta, del paese nel quale abitavano. Ad un certo punto un gruppo di bambini appena usciti da scuola, sorpresi di vederci ci avvicinano e ci chiedono di fare una foto. Rimarrà solo a noi, non hanno i cellulari. Quanti giovani e bambini!

C’è tanta povertà, ma altrettanta dignità e speranza in questa gente. Che strano, hai come la sensazione che non sei guardato per quello che “possiedi”, ma per quell’istante di umanità che sta accadendo, per quella semplicità dell’umano che diventa rapporto, sguardo, sorriso, superando “mondi altrimenti inconciliabili”. Si ritorna in albergo con poca spesa fatta, tanta caffeina in vena per gli inviti nei bar e tante domande in noi, “ci stiamo perdendo qualcosa nelle nostre città- balocchi?”

Kamhel e il Sahara

“Il telaio per tessere i tappeti delle donne berbere sono due rulli sorretti da due montanti. Il rullo superiore è chiamato rullo del Cielo, quello inferiore rappresenta invece la Terra, il filo è il matrimonio fra la terra e il cielo” ci dice Kamhel alla guida del fuoristrada che si sta inoltrando nel Sahara tunisino. Dopo chilometri di pista nel grande lago asciutto di Tozeur iniziano le prime dune.

Ci inoltriamo, la soffice sabbia si solleva al nostro passaggio, il rumore delle ridotte del motore aumenta ad ogni saliscendi, intravedi segni precedenti, intuisci la pista e la baldanzosa guida di Kamhel speri sia indice di esperienza o almeno propendi per quella ipotesi. Ferma la jeep su un’alta duna. Spegne il motore. Ci dice di scendere. Lui continuerà a sorseggiare il suo thè verde. Il caldo secco e una leggera brezza ci accolgono, il silenzio rotto solamente per alcuni istanti dallo sfrigolio del motore e poi neanche quello.

Sguardo a 360°

Vedi quel sottile filo dell’orizzonte che lega il cielo alla terra. Vedi quel matrimonio unico del cielo con la terra che è il creato. E c’è un “io” come me che lo guarda stupito, c’è una piccolissima “cosa” come me che in quell’immensità può commuoversi, le dune, la sabbia, la luce, il vento che stanno facendo questo spettacolo non possono commuoversi e godere di questo.

E poi il “suono” del silenzio. Perché il silenzio non è vacuum, vuoto, ma è pieno, pieno di sussurri della realtà creata. Risaliamo nella jeep si riparte verso l’oasi di Mos Espa, uno dei set di Star War nel deserto, sempre turisti siamo…però “qualcosa” di incancellabile è accaduto.

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