MINNEAPOLIS – Natalità e occupazione. Mentre tutto cerca di rimettersi in moto, gli esperti stanno alla finestra e studiano quel che va succedendo. Dati alla mano. Tutti si aspettavano un’esplosione di natalità. Sai com’è, un anno rintanati in casa … ma non è andata così. Proprio per niente. Quantomeno negli Stati Uniti. Il report appena pubblicato dal Center for Disease Control and Prevention’s National Center for Health Statistics ci dice che il numero di nascite nel 2020 ha subito un calo del 4%, scivolando al livello più basso dal 1979. L’anno del Covid ha registrato 3.605.201 nascite contro le 3.747.540 dell’anno precedente.



A voler guardare la questione in termini “aziendali” o tecnici – cioè al di fuori di qualsiasi valutazione etica – tutti i dati raccolti, indici di fertilità, gravidanze giovanili, etc. ci dicono che cominciamo ad essere pesantemente sotto il “livello di rimpiazzo”. In altre parole la “produzione attuale” (i neonati) non basta a coprire i bisogni generati dalla “produzione precedente” (gli anziani).



Dowell Myers, studioso di demografia all’Università della Southern California, legge il report e fa sapere al paese che siamo in piena crisi, che “crisi” è l’unico modo adeguato di definire la situazione e che la crisi è grave. Lo spiega così: “Abbiamo bisogno di un numero sufficiente di persone in età lavorativa per sostenere il carico di questi anziani che meritano la pensione, meritano tutti i loro diritti e vivranno altri 30 anni. Nessuno nella storia del globo ha avuto così tante persone anziane con cui confrontarsi”.

Questo lo capiamo tutti, non occorre essere esperti, non c’è di mezzo nessuna scoperta. Però capiamo anche che non è un problema “aziendale” e non può essere analizzato e risolto con metodologie di business, ad esempio con una bella ricapitalizzazione. Cosa ricapitalizziamo per far fare più figli? Chissà se Myers e gli altri esperti hanno presente che occorre amare la vita per desiderare di generarla. Comunque, continua Myers, se lo stato attuale è di crisi, le previsioni per il futuro non sono affatto più rosee. Troppe incertezze per i giovani d’oggi, molte più e più pressanti di quelle che le generazioni precedenti si sono trovate ad affrontare.



Personalmente non sono convinto che sia una lettura sufficiente, adeguata, ma è indubbio che con il virus ancora in circolazione e le mille preoccupazioni sullo stato dell’economia, le proiezioni per il 2021, il “business plan aziendale”, sono brutte. Ci dicono che mancheranno all’appello oltre 300mila babies. E se diamo retta ai dati di dicembre 2020 (natalità a -7%), le cose potrebbero rivelarsi anche peggiori.

Peggiori? Ovviamente non tutti la vedono così. C’è tutto uno schieramento di personaggi che in verità salutano questi nuovi trend come un segno di progresso, come manifestazioni dell’affrancamento delle donne dal grande e malvagio stereotipo “famiglia-casa-figli”. Anche qui una valutazione “tecnico-aziendale” ci serve a poco. Ma se questi dati sulla natalità possono essere guardati come un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda del proprio criterio di lettura, i dati di oggi sull’occupazione non hanno grandi margini di ambivalenza. Come rispetto alla natalità, “tutti si aspettavano” che il mercato del lavoro confermasse in aprile i segnali positivi lanciati a marzo. Salta fuori che invece di una marcata accelerazione, si registra una brusca ed inattesa frenata con tanto di crescita del tasso di disoccupazione al 6,1%. Come ha commentato Diane Swonk, capo economista della Grant Thornton, è più facile mettere un’economia in stato di coma che risvegliarla. Anch’io, che economista non sono, vedo con i miei occhi come la catena produttiva stenti a rimettersi in moto. Mi basta guardare un mio caro amico di qua, rappresentante di mobili. In marzo e aprile ha raccolto una quantità di ordini come mai prima in quasi quarant’anni di carriera. Consegne? Zero.

Ci vorrà tempo, certamente, ma soprattutto ci vorrà la laboriosità di chi ama la vita.

God Bless America!

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