MINNEAPOLIS Se c’è un dibattito nel Paese, esplicito o “sotterraneo”, un tema che si va infuocando di giorno in giorno riempiendo le news tra pronunce e contropronunce di giudici e corti varie e raffiche di provvedimenti normativi, è quello della vita.

L’incriminazione di Trump è già dimenticata, la cacciata di Lemon e Carlson da Cnn e Fox incuriosisce solo quelli che curiosi già erano e della ricandidatura di Joe Biden alle prossime presidenziali a nessuno gliene può fregare di meno, anche perché le elezioni sembrano ancora lontane. Ma la vita no. E per vita non intendo solo la questione aborto, sempre caldissima, ma tutto quello che ha a che fare con essa, dal concepimento alla morte e possibili tappe intermedie. In altre parole, aborto, orientamenti e cambiamenti di sesso, pena di morte.



Della pena di morte, inaccettabile per la nostra sensibilità europea, solitamente si parla molto poco, anzi, soprattutto in campagna elettorale non si parla per niente (quando si potrebbe e dovrebbe). Nessuno si vuole rovinare il rapporto con un elettorato che non ama discutere questo tema. Dopotutto la pena capitale è a tutt’oggi legale in 27 dei 50 Stati, dal profondo sud di Texas e Louisiana, alle terre liberalissime di California e Oregon.



Per riportarla allo scoperto c’è voluto un provvedimento di Ron DeSantis, governatore della Florida (e aspirante candidato repubblicano alle presidenziali). Se prima per richiedere alla Corte la pena di morte occorreva l’unanimità dei 12 giurati, ora è sufficiente il parere favorevole di 8 di essi. Otto è la soglia più bassa di tutto il Paese. Naturalmente viene da chiedersi che bisogno ci fosse di un provvedimento del genere e che tipo di servizio alla “giustizia” esso possa rendere. Non credo di esagerare nel dire “assolutamente nessuno”, anzi. Ma evidentemente la politica segue altre logiche e persegue i suoi obiettivi attraverso strategie che non sono condivisibili, ma che secondo i proponenti porteranno frutto (politico, non certo umano).



Nel frattempo Il governatore repubblicano del Montana ha firmato un disegno di legge per limitare le cure di transizione per i minori transgender. Anche Kansas e Missouri stanno elaborando proposte di restrizioni al Gender Affirming Care, l’assistenza sanitaria alla transizione. Il Tennessee si è già mosso. A mali estremi, ci dice il Governor, estremi rimedi. Altri Stati certamente seguiranno a breve questa strada, questo arroccamento difensivo, acuendo la frattura tra Stati e guida repubblicana, con tanto di controllo delle relative assemblee, e Stati democratici. La questione transgender si sta allargando a macchia d’olio ed il muro contro muro si fa feroce. Ormai la questione omosessuale è digerita, (quasi) nessuno se ne turba. Adesso è tempo di transgender, di percolamento transgender nella quotidianità della vita, così che, senza neanche accorgersene, tutto risulti normale, naturale.

Ci pensavo l’altra sera guardando A man called Otto, dove uno dei personaggi, Malcom, nel libro e nel film originale di dieci anni fa, era un ragazzo gay. Ora, in questo remake americanizzato con Tom Hanks, è transgender. Anyway, anche questo è un campo di battaglia. Tra l’altro il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha fatto causa per impugnare le restrizioni imposte dal Tennessee che vietano alcune cure mediche ai giovani transgender, mentre un giudice del Missouri ha fatto altrettanto rispetto ai limiti disposti dal procuratore generale dello Stato.

Si battaglia anche in Kansas, dove i legislatori statali non hanno raggiunto la maggioranza dei due terzi necessaria per annullare il veto del governatore su un disegno di legge che priverebbe i medici delle loro licenze se fornissero assistenza ai minori di 18 anni. Ma la battaglia non è solo politica. Pochi giorni fa due dirigenti della Anheuser-Busch sono stati congedati dopo che una promozione pubblicitaria della Bud Light (la più popolare birra americana) con una donna transgender aveva scatenato le ire del mondo conservatore. Il musicista Kid Rock aveva risposto su Instagram con un video in cui prendeva a pistolettate lattine di Bud Light.

E poi l’aborto. Oggi il tema è la pillola del giorno dopo. L’aborto farmacologico è diventato comune negli ultimi dieci anni e ora rappresenta oltre la metà degli aborti legali. Il futuro dell’aborto – sia la pratica stessa che la battaglia legale su di esso – ruoterà sempre più attorno ai farmaci da prescrizione.

Per ora la Corte Suprema ha protetto l’accesso a un farmaco abortivo ampiamente utilizzato, congelando le sentenze dei tribunali inferiori che ne limitavano l’uso, ma siamo solo all’inizio. Speriamo sia un cammino di amore alla vita.

God Bless America!

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