MINNEAPOLIS – Quando c’è un nemico è tutto più facile. Almeno così ci sembra perché nell’impegnarci a combatterlo possiamo accantonare l’urgenza di farci domande, di chiederci per cosa vivere, cosa proporre, e soprattutto ci è risparmiato il compito di costruire. Basta essere “contro”, la nostra consistenza e l’unità con quelli che la pensano come noi stanno nell’essere “contro”. Vale per ciascuno di noi di fronte alle misteriose sfide della vita così come vale per la politica ed i suoi protagonisti in tutto il mondo.
Vale per Biden, che agita gli spettri del fascismo affermando pubblicamente che i “MAGA Republicans”, i Repubblicani ossessionati col Make America Great Again (“Fai di nuovo grande l’America”), sono una minaccia alla democrazia e chiamando “semi-fascismo” la filosofia che alimenta il “trumpismo”.
Vale per i repubblicani ed il loro sdegno, la loro indignazione (vera o di facciata) per le uscite del Presidente, preoccupati come sono per le elezioni di midterm. Le recenti pronunce della Corte Suprema, specialmente quella sull’interruzione volontaria della gravidanza, hanno allarmato una significativa fascia della popolazione, quegli americani moderatamente liberali che costituiscono l’elettorato “ballerino”, quel voto incerto che farà la differenza. I media hanno cominciato a sventolare bandierine rosse per allertare il Paese di un possibile, drammatico salto nel passato. Così, paradossalmente, le “vittorie ideali” incassate dai repubblicani rischiano di rimettere in pista i candidati democratici che sembravano destinati ad un deragliamento novembrino con tanto di ribaltamento delle maggioranze parlamentari.
In questo scenario arriva l’11 Settembre. Ventuno anni dopo. Ventuno anni che sembrano ventuno secoli. Tanti tra i giovani non sanno neanche bene che cosa accadde quel giorno, anzi, molti non sanno neanche di quel giorno. Non è tanto per dire, è vero, è proprio così. Del resto è inevitabile che il ricordo ed il morso del dolore si indeboliscano col trascorrere del tempo. Anche in noi che ne vivemmo tutta la drammaticità, in noi che quando passiamo a downtown ancora sentiamo quell’acre odore di bruciato, in noi che ne abbiamo portato addosso il contraccolpo esistenziale ed in qualche misura ne siamo ancora segnati. Ci saranno cerimonie, certo, per ricordare, per mantenere un filo con il passato. Ma quel che sembra più lontano, quello che nessuna cerimonia ricorderà è quel bisogno di bene, quel semplice riconoscimento di unità, di fratellanza e quella operosità tutta protesa al bisogno altrui che ci prese tutti quasi di schianto. Come dire “il tuo dolore è il mio dolore, la tua speranza è la mia speranza, la tua gioia è la mia gioia”, ma senza neanche dirlo, sentendosi chiamati a viverlo e basta. Ben prima di pensare ai nemici, ben prima di schierarsi.
“This land is your land, this land is my land…”, questa terra è la tua terra, questa terra è la mia, e così lo sono la gioia ed il dolore.
Questo è il tesoro di consapevolezza che l’11 Settembre ci consegna, per vivere il presente e costruire il futuro.
God Bless America!
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