I media ed i grandi commentatori politici ci dicono che l’approval rate di Biden sta andando giù come l’Andrea Doria. Ad oggi detto approval rate, cioè la percentuale di coloro che ritengono il presidente stia facendo un buon lavoro, si assesterebbe attorno al 42%. Poco, anche perché di quel 42 un buon 35% dichiarerebbe la propria fedeltà ad Old Joe anche finisse in fondo all’oceano (come l’Andrea Doria, appunto) per il sol fatto di essere un esponente del partito democratico. Adesione ideologica, yes.



Se vogliamo descrivere lo scenario in parole povere, possiamo dire che ormai siamo belli polarizzati anche noi, incrostati, fossilizzati attorno ad uno schieramento politico più che ad un’immagine ideale di quello che vorremmo da e per la nostra convivenza in questa terra. È un pezzo che non abbiamo una leadership capace di guidare la nazione. Il paese delle grandi praterie, della conquista del west, dei viaggi sulla luna, dei ponti verso l’infinito cerca una figura di riferimento e non la trova. Viene in mente Alexis de Toqueville e la sua Democracy in America del 1832: “Non so se il popolo degli Stati Uniti voterebbe uomini di valore superiore qualora si candidassero, ma non c’è dubbio che tali uomini non si candideranno”…  Verrebbe da dire che lo studioso francese aveva ragione.



Anyway, tornando alla guida che abbiamo, cioè a Joe Biden, gli osservatori affermano che la prima grande palude in cui il presidente si è infognato perdendo da subito credibilità, ancor prima della débâcle afghana è stata quella del Covid. Venivamo dalla gestione trumpiana della pandemia, una gestione fatta di deliberata, incosciente e scellerata non-gestione quando il virus mieteva migliaia di vittime ed appariva pressoché incontrollabile. Biden ha promesso di risolvere la questione, cioè ha promesso quello che non si può promettere quando si ha a che fare con cose più grandi di noi. Sbattendo il naso contro i limiti della scienza e soprattutto contro gli aspetti più intransigenti dell’individualismo libertario americano ha fallito, mancando gli obiettivi e finendo per sfilacciare ancora di più un tessuto sociale disperatamente bisognoso di fattori di unità.



Adesso salta fuori prepotentemente la questione aborto. E Biden si presenta subito alla frontline con un passo falso, parlando troppo e troppo presto, rischiando di togliere alle istituzioni quel briciolo di credibilità che ancora gli americani concedono loro, aizzando di fatto tutti quelli che sembrano non aspettare altro che una ragione (o una scusa) per infiammarsi. Coloro che hanno bisogno di un nemico per sentirsi vivi e di un campo di battaglia per sentirsi a casa, che trovano nell’avere un comune nemico quel che crea la loro unità. Quelli che già sono lì a protestare davanti alle case dei giudici della Corte Suprema che hanno firmato quella bozza. Comincia subito la guerra in difesa dei diritti acquisiti, perché – così corre il pensiero – se oggi è l’aborto ad essere attaccato, domani sotto tiro finiranno i matrimoni omosessuali per non dire tutte le questioni di identità di gender. Chissà, un giorno magari persino il divorzio, il padre di tutte le libertà sociali o il primo fattore disintegrante della società, a seconda dei punti di vista.

Già, perché anche chi lotta e prega per la difesa della vita e l’immagine tradizionale di famiglia può guardare “gli altri” come nemici. E se ci si guarda e tratta come nemici l’unica soluzione è la vittoria del più forte e la sottomissione del più debole. La legge della giungla.

Occorre che chi ama la vita sappia guardare la vita nell’altro, la vita nel nemico. È una strada lunga, ma è l’unica.

God Bless America!

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