Se nelle scorse settimane l’attenzione dei media americani era incentrata sulle condizioni di salute del presidente Biden, sulla sua pessima performance durante il dibattito tra candidati e sulla gaffe che ha fatto confondendo Putin e Zelensky, questi sono stati i giorni di Trump e del Partito repubblicano.

In primis, l’attentato subìto dal candidato repubblicano durante un comizio a Butler, cittadina della Pennsylvania, la sua reazione pronta, il pugno alzato, il volto sanguinante, il grido “fight, fight”, il saluto alla folla: la dimostrazione di essere un uomo deciso, forte, in grado di reagire in maniera autorevole al momento del bisogno; proprio il contrario di quello che sta dimostrando il suo avversario.



Subito sono scoppiate polemiche sulla gestione della sicurezza di Donald Trump da parte degli uomini e delle donne del Secret service, agenzia federale la cui direttrice, Kimberly Cheatle, è stata nominata da Biden, che non solo non hanno controllato l’edificio su cui si era appostato il cecchino, ma che non hanno nemmeno reagito prontamente agli spari: imbarazzanti i video che mostrano una delle agenti che non riesce ad estrarre la pistola e di un’altra che si spaventa quando sente gli spari.



Nella serata di lunedì si è aperta la Convention repubblicana, dove Trump verrà incoronato candidato presidente dai delegati scelti durante le primarie e la cui apertura ha visto l’annuncio da parte del tycoon del candidato alla vicepresidenza: James David Vance. Tanti avevano suggerito a Trump di scegliere una donna, per attirare il voto femminile, altri di scegliere un membro di una minoranza come un afroamericano o un latino-americano, altri ancora di scegliere un candidato moderato o quanto meno un repubblicano tradizionale, per guadagnare voti nell’elettorato centrista. Lui ha chiaramente scelto di testa sua.



Trump ha optato per un candidato che da una parte è molto simile a lui, uomo, bianco, cristiano, benestante e ben educato, dall’altra ha tutto quello che manca a Trump. Vance viene da una famiglia poverissima e da un contesto sociale devastato (la famiglia di Trump era molto benestante), è stato cresciuto in parte dal patrigno ed in parte dalla nonna, ha potuto laurearsi solo grazie a borse di studio e ha servito nell’esercito (Trump durante la guerra in Vietnam riuscì a farsi esentare dal servizio militare). Dopo la laurea in giurisprudenza a Yale, Vance ha praticato la professione legale e quella di venture capitalist, ha fondato una Ong, ha scritto un bestseller (Hillbilly Elegy), si è sposato con rito misto con la moglie di origini indiane, ha avuto tre figli, si è convertito al cattolicesimo, è stato eletto senatore dell’Ohio. Rappresenta insomma la vera incarnazione della promessa americana, quella per cui, da dovunque tu venga, ce la puoi fare: non ti servono sussidi statali, non servono politiche a sostegno della diversità e dell’inclusione, ma servono duro lavoro, meritocrazia e impegno. JD Vance incarna la perfetta opposizione a quelle élites culturali delle grandi città che giustificano furti e rapine quando commessi da poveri di colore, che non ritengono la sicurezza un’emergenza, che sono solerti a condannare ogni forma di razzismo ma che disprezzano gli “hillbilly”, i bifolchi, i lavoratori bianchi e non laureati, che sono ancora la maggioranza in America, almeno negli Stati in bilico.

Nel cammino di Vance è stato indubbiamente un momento importante il suo ingresso nella Chiesa cattolica, avvenuto con il battesimo e la cresima nell’agosto del 2019, all’età di 34 anni e scegliendo come santo protettore sant’Agostino. Alla domanda su come la fede influenzi la sua politica ha risposto: “L’intuizione cristiana centrale in politica è che la vita è intrinsecamente dignitosa e preziosa […] Se si crede davvero in questo, si vogliono proteggere le persone più vulnerabili nella società, ma si vuole anche garantire che i lavoratori ricevano il giusto salario quando fanno il giusto lavoro. Vuoi assicurarti che le persone non vivano in una città avvelenata perché vicino a una linea ferroviaria”.

Come ha postato Elon Musk su X, “Excellent decision”! Proprio il patron di Tesla, nonché di Starlink, Space X, Neuralink e X, nelle ultime 48 ore si è molto esposto a favore del duo Trump-Vance: poco dopo la notizia dell’attentato ha dichiarato pubblicamente il suo appoggio a Trump, ha criticato la gestione della sicurezza al comizio dell’attentato e ha duramente polemizzato con il governatore democratico della California Gavin Newsom, annunciando il trasferimento degli uffici di Space X e di X in Texas, in risposta ad una legge da poco approvata dal Partito democratico californiano che impedisce alle scuole di richiedere il consenso dei genitori quando uno studente minorenne comunica di identificarsi in un sesso diverso da quello biologico. Ma non solo: il Wall Street Journal ha annunciato la decisione di Musk di donare 45 milioni di dollari al mese, da luglio a novembre, ad un fondo pro-Trump “America PAC” finalizzato a finanziare la campagna repubblicana negli Stati in bilico. Se confermata (ad oggi non è stata smentita), si tratterebbe della più grande donazione della storia ad una campagna politica, in grado di colmare il gap tra le casse del presidente in carica e del suo rivale.

La campagna elettorale è ancora lunga e sarà una gara ricca di colpi di scena, ma indubbiamente negli ultimi giorni quello di Trump è stato un balzo in avanti.

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