MINNEAPOLIS – Solo un pensiero ed una citazione letteraria da passarvi. Prima che Biden parli. Ingolfato negli ultimi preparativi dell’Encounter 2023 (si spera sempre che siano gli “ultimi”, anche se poi quando ne sistemi uno ne sbucano inevitabilmente fuori una infinità di altri), mentre aspetto che Biden compaia in televisione per dirci che lo stato dell’Unione è forte (cosa non vera) e così è pure quello della sua salute mentale tanto da permettergli di ricandidarsi (cosa altrettanto non vera).



Mia moglie mi chiama per leggermi un passo del libro che sta finendo. East of EdenLa valle dell’Eden, di John Steinbeck, premio Nobel per la letteratura nel 1962. Uno che bisogna leggere se si vuole capire qualcosina dell’America, della sua gente, del suo cammino, del suo “sogno”, dei suoi fantasmi e dei suoi tormenti.



Per capire di più, per capire davvero ci vorrebbero tempo e convivenza, ma se questo non è possibile consiglio Steinbeck con tutto quello che ha scritto e Shelby Foote con i suoi tre volumi sulla guerra di Secessione. Si va poco lontano affidandosi a quel che vi raccontano i giornalisti, e si va poco lontano anche ascoltando quel che dicono i presidenti che dal 1913, da Woodrow Wilson in poi, hanno inventato e reso stabile questo gran discorso chiamato State of the Union. Praticamente per autosponsorizzarsi parlando bene di sé e del proprio operato e per promettere tempi ancora migliori. Una volta all’anno, basta e avanza. Sono le 7:00 pm e Biden non ha ancora parlato, ma Steinbeck ha già scritto. Roba del 1952. Ecco cosa mia moglie ha voluto leggermi, quello che ad un certo punto, verso la fine del racconto, Steinbeck mette in bocca ad un suo personaggio, un cinese che si chiama Lee.



Lee si rivolge a Cal, la figura forse più ammirabile dell’opera, e dice: “Tutti abbiamo quell’eredità, non importa quale antica terra i nostri padri hanno lasciato. Tutti i colori e le mescolanze degli americani hanno in qualche modo le stesse tendenze. È una razza selezionata per caso, e così siamo troppo coraggiosi e troppo paurosi – siamo gentili e crudeli come bambini. Siamo eccessivamente amichevoli e allo stesso tempo spaventati dagli estranei. Ci vantiamo e siamo impressionabili. Siamo troppo sentimentali e realisti. Siamo mondani e materialisti – e conosci qualche altra nazione che agisce per un ideale? Mangiamo troppo. Non abbiamo gusto, né senso delle proporzioni. Sprechiamo la nostra energia come si buttano i rifiuti. Nelle vecchie terre si dice di noi che passiamo dalla barbarie alla decadenza senza che intervenga una cultura. Può essere che i nostri critici non abbiano la chiave o il linguaggio della nostra cultura? Questo è ciò che siamo, Cal, tutti noi. Non sei molto diverso”.

Non so che effetto faccia a voi che non ci vivete, ma a me che vivo qui da quasi trent’anni, a me “anche americano”, Steinbeck suona come una geniale, magica e drammatica descrizione della “americanità”. Quelle che Steinbeck ci presenta non sono solo le ben visibili contraddizioni di questa terra, sono la definizione del profilo, di un volto umano che vive ed opera in questo Paese. Sono anche una bocciatura del tentativo del resto del mondo di spiegarla, questa “americanità”, secondo criteri inadeguati.

Adesso posso andare a sentire cos’ha da dirci Biden. If anything.

God Bless America!

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