NEW YORK — Manca poco più di un anno alle elezioni presidenziali. “Come vola il tempo…”, potrebbe commentare qualcuno; “certe giornate non finiscono mai…”, risponderebbero altri pensando a questi tre anni trascorsi con Trump alla guida del paese. “Drunk driving”, guida in stato di ebbrezza, concorderebbero in tanti.



Arriva “l’autunno dell’anno prima” e così – come nel 2015 comparvero una schiera di aspiranti presidenti di scuderia repubblicana – di questi tempi ci ritroviamo un esercito di democratici smaniosi di farsi conoscere dalla nazione. Tutti convinti di essere l’antidoto appropriato a fronteggiare la velenosa presenza di Trump ed il suo tentativo di raddoppio presidenziale.



Vogliono farsi conoscere, devono farsi conoscere perché oggi come oggi quando compaiono da qualche parte, tv o giornali che siano, li riconoscono solo pochi intimi, i vicini di casa o al massimo quelli del proprio Stato. A parte Joe Biden, volto noto avendo fatto il vice di Obama per otto anni. Volto noto e comunque voce ignota, perché le cose importanti le diceva Obama, non lui.

A cinque mesi dall’inizio delle primarie, per farsi conoscere ci sono fondamentalmente due modi: visitare a tappeto il territorio girando come le trottole (e cercando di raccogliere soldi per sostenere la propria campagna elettorale) e comparire in tv in quelle sfide alla “mezzogiorno di fuoco” con gli altri aspiranti. Anzi, “contro” gli altri aspiranti. Perché queste sono sfide in cui non si esita minimamente a sbudellarsi l’un l’altro sviscerando gli altrui peccati pur di mostrarsi sempre sul pezzo, vigili, tonici, risoluti nonché puri ed infallibili e quindi degni della fiducia popolare.



L’elezione di Trump ci insegna che le previsioni lasciano il tempo che trovano, che ribaltoni dell’ultimo momento sono sempre possibili, che chi sembra forte spesso finisce per dimostrarsi debole, e chi sembrava ultimo può prevalere. Ehi, siamo l’America! Qui se non si esagera non siamo contenti!

Comunque, fatta questa doverosa considerazione, diamo un’occhiata a chi c’è al centro del quadretto di famiglia Democratico. Per capirlo basta guardare uno dei citati dibattiti. In mezzo ci sono loro quattro: Bernie Sanders, Joe Biden, Elizabeth Warren e Kamala Harris. Un bel poker assortito che sembra manufatto all’insegna del politically correct: ebrei, cattolici, protestanti, sangue Cherokee, African American, multirazziali… E di candidati ce ne sono altri a coprire anche altre aree di origine ed orientamento sessuale. Dagli ispanici come Julian Castro – acido come lo yogurt andato a male – a Beto O’Rourke – che anche quando sorride sembra uno della famiglia Addams – a Pete Buttigieg che, venisse eletto, ci farebbe vivere la nuova esperienza di avere un presidente accompagnato non da una “First Lady”, ma da un “First Man” (che non sarebbe quello sceso per primo sulla Luna), fino ad Andrew Young – origini asiatiche – e il suo “Universal Basic Income”, $ 1,000/mese per tutti e lotta all’automazione incontrollata.

Come accennavo, nel tempo qualcuno potrebbe saltare dal perimetro al centro, ma per ora Biden, Warren, Sanders e Harris sono i “Big Four”. Biden è lì per la rendita vitalizia che fare il vice di Obama gli ha procurato, ma sinceramente a guardarlo, a sentirlo, a vederlo reagire agli attacchi, sembra un po’ bollito. A settantasette anni non riuscire a ricordare quel che si è detto cinque minuti prima non è una colpa, ma magari uno evita di candidarsi a presidente degli Stati Uniti.

Sanders, un po’ più ingobbito del solito, è sempre lui con il suo slancio ideale e le sue proposte socialdemocratiche ma, come diremmo qua, “sounds like a broken record”, si ripete e si ripete e si ripete mentre ripete quello che ci diceva quattro anni fa… La Harris, senatrice californiana, ha avuto uno sprazzo vigoroso all’inizio dell’estate addentando al collo Biden su questioni razziali, ma la sua parabola di notorietà al momento sembra in fase discendente. Se non cresce la popolarità non si raccolgono fondi e senza fondi si scompare dalla scena.

E poi c’è la Warren. Elizabeth Warren, forte, decisa, lucida, sempre pronta. A differenza di Hillary Clinton, la Warren piace. Piace, ma fa anche paura. Fa paura a tutto quel mondo moderato di cui i Democratici non possono pensare di fare a meno se davvero sperano di sconfiggere Trump. I vari punti della sua piattaforma, per quanto a noi europei possano sembrare assolutamente legittimi, spaventano l’americano medio, non abituato a significative intrusioni dello Stato nelle proprie faccende. Sanità ed istruzione universitaria gratuita per tutti, tassazione più pesante per i “ricchi”, seri limiti al possesso di armi … E di qui la percezione generale che se si dovesse imboccare quella strada chissà dove si finirebbe. Per questo Biden, sebbene con un margine che sembra ridursi di giorno in giorno, è ancora il capofila.