NEW YORK – Una mano ad impugnare una mug di caffè nero, l’altra a sfogliare le pagine del New York Times. Le notizie di questa America ovunque le leggi sono sempre le stesse, e così anche le pagine del New York Times, ma leggerle a Brooklyn, con una tazza di caffè nero in mano,  non è come leggerle a Saint Cloud, Minnesota. È come se le stesse notizie valessero più qua che là.



Sono a NYC di passaggio, sulla via del ritorno in Italia dopo due anni di lontananza. Speriamo di farcela ad arrivare in Europa, le cose sono ancora abbastanza complicate. Con mia moglie stiamo aspettando che ci arrivino via e-mail i risultati del Covid test fatto stamattina. Per partire ci vuole anche quello, anche se noi siamo vaccinati da un pezzo. Il mondo sta cercando di rimettersi in moto e a lamentarsi di queste misure di sicurezza si farebbe peccato.



A New York il tempo è brutto, anzi in verità fa proprio schifo, pioggia e umidità pesante come questa città sa fare, come fa quando sembra volersi rendere antipatica anche a chi la ama. Ma New York è sempre bella, non c’è niente da fare. Bella e desiderosa di riprendere il volo. Adesso che l’America sta riaprendo tutto e di più, le cose riacquistano colore con un fremito di vita che sembrava dimenticato. Così anche New York, lentamente, faticosamente, ma con grande determinazione, ricomincia a somigliare a se stessa. Il traffico a Manhattan te lo fa capire subito a chiare lettere, anche se il cimitero delle vetrine dei negozi che furono è quasi tanto esteso quanto la superficie di quelli che sono riusciti a sopravvivere.



Due americani su tre che avevano perso lavoro con la pandemia sono riusciti a rimettersi all’opera. Un modo elegante per dire che uno su tre di quelli mandati a casa sono ancora lì, a casa, a raccogliere il loro assegno settimanale di unemployment. È vero che il sistema produttivo è ancora inceppato, ma è vero anche che la disoccupazione cala, le riaperture generano lavoro e ne promettono tanto di più. Ma c’è da combattere un nuovo nemico che in quest’anno volato via si è fatto forte come non mai: la tentazione dell’assistenzialismo. Una malattia sociale che non è mai stata particolarmente diffusa in questo paese dal welfare striminzito. Tra Stimulus checks e sussidi vari starsene a casa sembra più conveniente che andare a guadagnarsi un salario. Ed è un sentimento che si va diffondendo soprattutto tra chi dal lavoro e forse dalla vita non sembra aspettarsi tanto. Difficile trovare il giusto equilibrio. Se c’è una cosa su cui i media potrebbero attaccare Biden, è forse questa. Ma i media non hanno nessuna intenzione e apparentemente nessuna ragione per attaccare il presidente.

Tutto sembra scorrere tranquillo verso una rapida ripresa di cui economia, borsa e rinnovato spirito di intrapresa sono i protagonisti. Nemmeno i continui mass shootings (oltre 230 dall’inizio dell’anno: duecentotrenta!), le ferite della piaga razziale che si riaprono continuamente e la drammatica crisi di Gaza (non dimentichiamo che in America vivono milioni di ebrei, nonché numerosi palestinesi ed arabi) riescono a farsi spazio più di tanto tra le news e nella parole che ci si scambia.

Perché tutto è “riapertura”, tutto è “back to normal” a grande velocità. Con il rischio della dimenticanza. E se si dimentica quel che è successo non si vede neanche quel che sta succedendo.

Vediamo cosa siamo capaci di fare.

God bless America!