E così in Venezuela, dopo che il Governatore dello Stato di Zulia, Manuel Rosales, unico ammesso all’opposizione nella Dittatura di Nicolas Maduro alle prossime elezioni presidenziali, ha pure lui ritirato la sua candidatura, il fronte dell’opposizione, mostrandosi stranamente unito, ha proposto l’ex Ambasciatore Edmundo Gonzales Urrutia come avversario del chavismo nell’importante tornata elettorale del 28 luglio.
È una situazione molto difficile, ma dobbiamo rimanere calmi”, ha commentato Corina Yoris, penultima candidata dello stesso fronte in sostituzione di Maria Corinna Machado, l’unica che aveva letteralmente dominato le elezioni indette dall’opposizione ma, come Yoris, non era stata “ammessa” a quelle generali. La riffa è poi continuata con Rosales e ora è il turno di Gonzales: la speranza è che, più della calma invocata, non accadano altri “incidenti di percorso” da qui a luglio.
74 anni, già Ambasciatore sia in Algeria che in Argentina, Gonzales Urrutia è un internazionalista e politologo molto conosciuto in Venezuela, la cui candidatura, accettata all’ultimo momento dalle autorità e solo dopo un acceso dibattito all’interno dell’opposizione, con la fondamentale spinta di Machado (che ricordiamolo a tutti in ottobre vinse le elezioni con il 90% dei suffragi) ha alla fine messo tutti d’accordo.
Quello che resta da capire è se Gonzales Urrutia alla fine sarà un vero candidato oppure fungerà da apripista a Machado in caso di vittoria elettorale, anche se, nel suo primo discorso dopo la sua entrata nella corsa elettorale cinque giorni fa ha dichiarato che “è tempo di marciare tutti insieme per il recupero della nostra democrazia, di mettere da parte le differenze e lavorare insieme per ottenere una vittoria elettorale il prossimo luglio con un’unità ampia e integrale che offra prospettiva e visione per il futuro”. “È tempo che tutti i venezuelani si uniscano perché nessuno può rimanere indifferente di fronte alla crisi economica e sociale che il Paese attraversa. La Pud (Plataforma Unitaria Democratica) si impegna a costruire un Venezuela per tutti, dove ci sarà giustizia, autonomia e indipendenza dei poteri pubblici e dove nessuno avrà paura di essere perseguitato per le proprie idee”.
Bel discorso, non c’è che dire, ed estremamente diplomatico, ma oltretutto funzionale a un regime che, dopo i colpi dei mesi passati e il fondamentale decreto “antifascista” che in pratica mette già nella sua applicazione un bavaglio strettissimo all’opposizione, ha dovuto accettare questa sostanziale messa in scena anche per sopire le importanti critiche fatte anche da Governi favorevoli alla dittatura chavista, come Brasile e Colombia, i cui leader avevano aspramente criticato le repressive decisioni scorse attuate da Maduro & Co.
Ora prepariamoci a vedere cosa accadrà specialmente con gli Usa, il cui Presidente Biden potrebbe aver ottenuto un favore gigantesco da questa sostanziale situazione da operetta per la sua candidatura a un secondo mandato presidenziale che, a tutt’oggi, pare essere una chimera. Chiaro che lui attribuirà l’improvvisa apertura al ritorno delle sanzioni che gli Stati Uniti avevano sospeso all’epoca del famoso “Accordo delle Barbados” che sembrava poter aprire una prospettiva democratica all’interno del regime chavista.
Insomma, il “rampollo” della Casa Bianca potrebbe dire: “Avete visto che ora le cose cominciano a funzionare come volevamo noi?”. Osservazione ovvia, ma un po’ troppo tirata per i capelli: perché dopo decenni di un regime che ha portato una delle nazioni più ricche della Terra, in grado se correttamente gestita di dare un benessere unico a i suoi abitanti, a una catastrofe unica nel suo genere, risulta un po’ difficile pensare che, per il classico colpo di “bacchetta magica” le cose si siano messe improvvisamente nel verso giusto. Anche se il “democratico” Maduro ha annunciato, nel corso della riunione a Caracas dell’Alba (Alleanza bolivariana dei popoli dell’America Latina) che “daremo una lezione storica a questa Destra fascista!”, dopo aver interdetto altri 5 candidati dell’opposizione dalle liste elettorali.
Ma tant’è: a questo punto non resta che abboccare alla favoletta e soprattutto vedere come un’opposizione forte ma senza leve di comando potrà cambiare le carte in tavola e iniziare un processo di democratizzazione (in caso di vittoria, ovvio…) che implicherebbe una Norimberga in grado di giudicare l’infinità di delitti perpetrati dall’attuale regime.
Purtroppo conosco l’America Latina dal 1977 e non sono mai stato testimone di transizioni “democratiche” come quella che si prospetta adesso nel Paese caraibico: l’arrivo della democrazia nelle varie nazioni è stato sempre preceduto dalla distruzione o autodistruzione dei regimi che ne occupavano il posto. Quindi, l’annientamento pure politico dell’avversario: cosa che in questo momento non è nemmeno ipotizzabile a meno che, nel corso dell’eventuale sceneggiata, non si raggiungano accordi decisamente vomitevoli che rischiano di mettere fuorigoco gli eventuali vincitori. Prepariamoci a vederne delle “belle”, quindi.
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