E così, come anche noi avevamo previsto, il giochino di Maduro di abbandonare le trattative per risolvere la tragedia del Venezuela, già collaudato tre anni fa durante gli incontri tra il suo “Governo” e il Mud auspicati anche dalla Chiesa, si è ripetuto. Difatti giovedì scorso il dittatore ha annunciato che la sua delegazione ha abbandonato il tavolo delle trattative che, iniziate a Oslo perché auspicate dal Governo norvegese, si erano trasferite nelle Barbados, dove sembrava che una tiepidissima luce di speranza si fosse accesa dopo che il capo delegazione del regime madurista, Jorge Rodriguez, suo ministro della Comunicazione, aveva annunciato che il dialogo con l’opposizione guidata dal Presidente ad interim Guaidó registrava segnali positivi. Ed ecco arrivare, come da copione, la retromarcia del “lider maximo” dovuta, secondo lui, alle sanzioni annunciate da Trump che bloccano i capitali del Governo venezuelano negli Usa.



“Avevo proposto che si instaurasse un’agenda permanente di dialogo, però questa settimana l’imperialismo nordamericano è impazzito e ha pugnalato l’anima del Venezuela alle spalle, con l’opposizione a festeggiare l’accaduto”, ha dichiarato Maduro. La risposta di Guaidó non si è fatta attendere, con l’accusa a Maduro di “aver abbandonato il dialogo proprio quando si stavano raggiungendo accordi nel pieno rispetto della Costituzione del Paese”.



Il paragone cinematografico da noi usato nel precedente articolo si è purtroppo rivelato esatto, stavolta con il remake del film già visto anni fa: la cosa stranissima, anzi due, risiede nel fatto che quasi contemporaneamente Maduro ha annunciato che le relazioni con la Cina si svolgono tra i due paesi nella logica del “win-win”, che in parole povere significa tra due nazioni che godono di ottima salute e intrattengono un interscambio economico alla pari.

Davvero non si capisce come, visto che i debiti del Venezuela con la Cina ammontano a 50 miliardi di dollari (tanti ne hanno investiti i cinesi ed è questa la ragione nel non volersi staccare dal Paese caraibico), Maduro consideri il suo Paese alla pari. E questo però apre un altro discorso, perché già due anni fa gli Stati Uniti avevano destinato gli introiti venezuelani del petrolio nel loro Paese come spettanti a Guaidó, senza provocare le odierne reazioni “rivoluzionarie” che hanno determinato l’abbandono dei tavoli alle Barbados.



Ma allo stesso tempo bisogna chiedersi come mai l’Onu, dopo aver denunciato i soprusi e le sparizioni di 5.800 oppositori del regime, non abbia messo in essere nessun piano per cercare di risolvere la problematica: forse perché qualsiasi mossa sarebbe “stoppata” dal voto contrario di Russia e Cina? Cosa che metterebbe in seri dubbi l’utilità di un organismo del genere, discussa da anni.

Di certo la diplomazia internazionale, dopo questo ennesimo patatrac madurista, dovrebbe cercare di agire con più serietà, visto che la tragedia di questo ricchissimo Venezuela prosegue… ma sarà un caso che l’Ue abbia anche lei criticato il congelamento dei beni venezuelani, ma sopratutto la decisione di sanzionare i Paesi terzi che commercino con il Venezuela? Non si sentirà un po’ riflessa in quest’ultimo punto, visto che, in barba a tutte le iniziative diplomatiche, molte nazioni contrarie al regime di Maduro (pure nell’Ue) continuano imperterrite a sostenerlo economicamente (Italia compresa)?