L’accordo tra Irccs San Matteo di Pavia e Diasorin per i test sierologici sul Covid è legittimo. Lo ha stabilito la terza sezione del Consiglio di Stato, riformando così la decisione del Tar Lombardia che aveva annullato l’intesa. Ma era legittima secondo il massimo organo della giustizia amministrativa. Nella sentenza Palazzo Spada spiega che è «dirimente la constatazione che la validazione», e l’eventuale sviluppo del progetto di ricerca privato, «non ha carattere di esclusività rispetto ad altri possibili progetti scientifici di altri soggetti privati».



Pertanto, per il Consiglio di Stato non è «concessione di bene pubblico» e non c’è «un problema di concorrenza», in quanto, a differenza del contratto di appalto e concessione, «strutturalmente non vi è una limitazione nella scelta dell’amministrazione ad un solo partner», visto che la ricerca è «aperta». Nella decisione ha pesato, però, anche il fatto che l’accordo tra Irccs San Matteo Pavia e Diasorin non fosse né esclusivo né escludente, infatti c’è stata un’apertura «alla valutazione di altre analoghe (anche contestuali) proposte di accordo».



DIASORIN-SAN MATTEO, “ACCORDO NON È ESCLUSIVO”

La decisione del Consiglio di Stato in merito all’accordo tra Irccs San Matteo di Pavia e Diasorin è stata accolta «con grande soddisfazione» dal gruppo, il cui contratto era stato contestato dalla ditta Technogenetics, di proprietà cinese. Questa sentenza ha quindi accertato definitivamente, secondo Diasorin, che l’operato nel processo di validazione del test è stato corretto. Il Ceo Carlo Rosa ha poi evidenziato che si tratta di una sentenza molto importante per la ricerca italiana, perché «è stata fatta chiarezza sulla collaborazione tra istituti pubblici e società private nell’esecuzione di sperimentazioni cliniche per migliorare la salute delle persone».



Diversa la reazione della ditta Technogenetics, che invece si riserva la possibilità di valutare dopo questa sentenza l’adozione di altre azioni legali presso le sedi europee predisposte. Il gruppo che ha promosso il ricorso in una nota ha sottolineato di aver preso atto che le collaborazioni pubblico-private «finalizzate anche ad acquisire i risultati della ricerca pubblica sono liberamente negoziabili dall’amministrazione che può discrezionalmente preferire un operatore rispetto ad un altro e che queste modalità, secondo il Consiglio di Stato, non alterano la libera concorrenza».