Le parole di Davide, il “bambino zero” dalle cui dichiarazioni choc alla fine degli anni Novante esplose l’inchiesta “Diavoli della Bassa” hanno lasciato di stucco. In una intervista a Repubblica dei giorni scorsi, il giovane ha ammesso di essersi inventato tutto. “Ho inventato di essere stato abusato, ho inventato i riti satanici nei cimiteri”, ha spiegato, conscio che con le sue testimonianze, rese “per disperazione” dopo i martellanti colloqui con psicologi ed assistenti ha messo nei guai la sua famiglia e non solo. Ben sedici bambini furono portati via dai genitori accusati di pedofilia e riti satanici. Alcuni furono condannati, altri assolti, ma ci fu anche chi non fu indagato senza poter però rivedere più i propri figli. Come ricorda nel suo editoriale Lucia Bellaspiga, Avvenire seguì sin da subito la vicenda. Una vicenda dalla quale emergono orchi inventati ma vittime più che vere.
Non solo Davide. Dopo di lui si affiancarono i racconti di altri bambini allontanati dalle proprie famiglie. I loro racconti erano drammatici. Parlavano di bambini sgozzati nei cimiteri, legati a croci, abusati e poi caricati sul Fiorino del parroco don Giorgio Govoni e gettati nei fiume Panaro. Ad uccidere sarebbero stati loro stessi, indotti a compiere questi atti incredibili all’oscuro di tutti ma soprattutto senza che mancasse mai all’appello alcun bambino.
DIAVOLI DELLA BASSA, AVVENIRE DOPO VERITÀ ‘BAMBINO ZERO’
Come rammenta Avvenire, i giornalisti indagavano su quei racconti ma qualcosa continuava a non tornare, a partire dalle salme mai restituite dal fiume. Al tempo stesso ci si domandava come facessero dei bambini così piccoli ad inventare quegli orrori. La risposta giunse nel 2004 da una casa in provincia di Ferrara che mostrò ad Avvenire il video dell’interrogatorio subito da una delle presunte piccole vittime di abusi. Lo schema era lo stesso descritto da Davide. Alla bambina veniva chiesto chi potesse essere l’orco, ora il medico, ora il sindaco, ora il prete. E la piccola distrattamente confermava. Da qui emerse anche il nome di don Govoni, per il quale fu chiesta la condanna a 14 anni, ma il giorno stesso, il 19 maggio 2000, morì di crepacuore. Ma come mai si arrivò a tutto ciò? La Carta di Noto indica in che modo psicologi e giudici devono raccogliere i racconti dei bambini. Sono sconsigliate le domande suggestive che stimolano una risposta voluta. I consulenti della Asl di Mirandola e del Tribunale dei Minori di Modena invece sposarono la teoria del “disvelamento progressivo'”.
Pablo Trincia con la sua inchiesta Veleno svelò tutto il resto. Ancora oggi alcuni di quei bambini, ormai adulti, confermano gli orribili ricordi dei lunghi e assurdi interrogatori. C’è chi si rifiuta di saperne ancora di questa storia, come una ragazza, figlia di uno dei condannati a 11 anni che ha commentato: “troppo doloroso, ora mi basta vivere la mia vita”. La sola verità inoppugnabile però, ce la fornisce ancora Davide che, rivolgendosi agli altri bambini ammette: “Nessuno ce l’ha con noi, noi siamo le vittime”. E si ritorna così al punto di partenza dell’editoriale di Bellaspiga dal titolo “«Diavoli della Bassa»: 30 anni dopo. Forse han costruito orchi, certo han fatto vittime”.