Dopo una raccolta di firme che ha visto una mobilitazione capace di parlare a tutto il Paese, la proposta di legge di iniziativa popolare della Cisl sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese è all’attenzione della Camera dei Deputati. L’avvio del dibattito parlamentare non ferma però la spinta a discutere del significato che questa iniziativa ha nell’attuale situazione economica e per il valore che assume nel definire il ruolo del sindacato in un periodo di grandi cambiamenti del mondo del lavoro.



È questo sguardo aperto alla situazione generale che è stato al centro di un confronto fra Luigi Sbarra, Segretario generale della Cisl, e Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà.

Sbarra ha spiegato anzitutto che la proposta punta a realizzare un’indicazione prevista dalla nostra Carta costituzionale. È all’articolo 46 che dice: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. La proposta avanzata si propone di dare sostanza a quanto indicato dai padri costituenti. È lo sviluppo naturale di un percorso sindacale che ha sempre posto alla base dei suoi comportamenti, anche nelle fasi di scontro con le controparti, la difesa delle imprese e della produzione. È dall’importanza assegnata alla centralità della persona che è impegnata, con ruoli e responsabilità diverse, nel fare dell’impresa un luogo dove si generi ricchezza per tutti, che viene la riflessione per operare oggi un passo avanti nel dialogo e nell’assunzione di responsabilità comuni anche nelle scelte gestionali.



La rigidità delle posizioni espresse in fase di contrattazione non va mai confusa con una cultura che nega il valore dell’impresa come opera comune per tutti coloro che vi collaborano. È sempre stata questa l’impostazione data dalla Cisl e oggi questa ha trovato ulteriori conferme dalla realtà.

Il periodo della pandemia ha visto grandi e talvolta eroici esempi di collaborazione. È avvenuto nei settori economici essenziali, quelli che non si potevano interrompere, ma ancora più significativi sono stai accordi comuni presi per assicurare di non fermare settori produttivi che avrebbero determinato problemi per i lavoratori e per le imprese. Il “nessuno si salva da solo” di quel periodo diventa una riflessione ancora più stringente se guardiamo alla realtà delle imprese e dei nuovi lavoratori che vi accedono. L’apparente distacco rilevato fra i giovani che iniziano a lavorare in questo ultimo periodo indica una profonda domanda di senso rivolta al lavoro. Si vuole certo avere un lavoro che si possa conciliare al meglio con la vita famigliare, ma è domanda di conciliazione fra il lavoro che si è chiamati a svolgere e le sfide che si considerano importanti. Lavoro che non si concilia con la sostenibilità ambientale, economica e sociale è un lavoro che viene subito solo se non si è in grado di rifiutarlo. La possibilità di trovare forme di partecipazione alla vita dell’impresa punta a rispondere anche a questa domanda di dare senso al lavoro potendo incidere su tutti i suoi aspetti.



Vittadini ha allargato ancora di più lo sguardo sulle ragioni toccate dalla sfida aperta dalla proposta di partecipazione dei lavoratori. Ha ricordato che di fronte all’aumento delle diseguaglianze che si registra in tutti Paesi più avanzati, da più parti, si è detto che “bisogna prendere atto che la lotta di classe è finita e l’hanno vinta i ricchi”. La globalizzazione è certo servita a elevare il reddito di milioni di persone dei Paesi più poveri, ma il modello neoliberista che ne stava alla base ha determinato un impoverimento della classe media nei Paesi più avanzati. Il risultato è che l’1% dei ricchi del mondo detiene ricchezze superiori a quanto posseduto dal 50% più povero.

Anche fra le imprese si è accentuato il processo di concentrazione e di monopolizzazione in pochi grandi agglomerati multinazionali. Il processo si è esteso nelle società con una logica che ha favorito la disintermediazione sociale e la logica dell’uomo solo al comando.

Uno sviluppo che tenga conto di tutti i fattori positivi che stanno nella realtà non può che basarsi sulla ripresa delle relazioni sociali. Quelle messe in moto dal lavoro sono fondamentali per la vita delle persone, sono la base del formarsi della loro personalità.

I corpi intermedi che nascono dal mondo del lavoro, e i sindacati ne sono l’esempio più importante, sono determinanti per dare una svolta ai danni fatti negli anni passati da chi ha favorito scelte che restringevano il campo dell’azione delle rappresentanze degli interessi sociali.

La proposta della Cisl assume allora un valore fondamentale per chi ritiene che si possa immaginare una nuova fase di sviluppo che sappia coniugare le sfide della sostenibilità con una più intensa partecipazione della società civile e uno Stato regolatore capace di promuovere solidarietà e sussidiarietà.

E il Segretario della Cisl nel riprendere le argomentazioni di Vittadini ha lanciato alcune ulteriori riflessioni sul sindacato dei nostri giorni. Oggi è contrario agli interessi dei lavoratori un sindacato che riesce a portare avanti le sue istanze solo con una continua conflittualità e non è in grado di avanzare proposte costruttive. Per uscire dalle logiche sociali del neoliberismo c’è necessità di indicare forme nuove di partecipazione. Si chiede più dignità per il lavoro e ci si assume più responsabilità comune per lo sviluppo economico. Ha precisato per concludere che resta viva la differenza fra chi organizza e chi subisce l’organizzazione. Un sindacato riformista promuove forme di accordo e di partecipazione conoscendo bene la differenza che lo contraddistingue da forme di corporativismo portate avanti dai nuovi populisti.

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