L’ultimo decennio ha visto una rivoluzione finanziaria nel settore delle criptovalute. Gli esperti e gli analisti che studiano il mercato hanno evidenziato delle criticità che riguardano le imposte da versare sia in Italia che in Europa.
L’attuale regolamentazione prevede che i contribuenti paghino delle tasse soltanto sulle plusvalenze (i ricavi ottenuti dal superamento di un certo limite). Dopo tanti anni a è sorto il MiCA (responsabile di monitorare la fiscalità delle crypto attività).
Come dichiarare le criptovalute in Italia nel modo corretto
A regolamentare la dichiarazione delle criptovalute in Italia è l’articolo 67 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) che prevede di corrispondere un onere finanziario soltanto in caso di plusvalenza e non qualora si detenesse o scambiassero le valute digitali.
In caso di minusvalenza non è previsto nessun pagamento in tasse. Per minusvalenza si intende una perdita generata sull’investimento o rispetto al costo d’acquisto.
L’ultima Legge di Bilancio ha previsto l’applicazione del 26% unicamente sull’importo effettivamente guadagnato purché questo superi i due mila euro.
Un esempio pratico
Se in un anno un contribuente italiano ha investito in criptovalute e nello stesso periodo fiscale ha rivenduto le valute guadagnando 1.000€ oppure generando una perdita, allora non dovrà pagare nessuna tassa.
In caso di profitto superiore ai due mila euro sul totale ricavato sarà applicato il 26% di tasse. Si ritiene fondamentale documentare il prezzo d’acquisto con le dovute prove, altrimenti per lo Stato la spesa d’acquisto equivarrebbe a “zero”.
La nuova riforma fiscale ha introdotto delle novità importanti: IVIE, l’IVAFE e la tassa sostitutiva sulle criptovalute (attenzione alle frodi nel settore) che spuntano nel quadro W (che ci evita la compilazione del quadro RW).
Secondo le indicazioni e gli oneri burocratici il contribuente deve compilare la colonna 10 (giorni IVAFE – cripto attività), la colonna 12 (per il credito d’imposta) e la sezione IV, rigo W8 e colonna 7.