Alla fine il cammello è passato dalla cruna dell’ago. E la soluzione all’esiziale enigma è stata offerta proprio da coloro che, la politica, aveva posto all’indice.
Una soluzione che lascia tutti soddisfatti: i grillini, che possono vantare la cacciata della famiglia Benetton (e la sua controllata Atlantia) dalle leve di comando di Autostrade. I renziani, che possono rivendicare l’entrata nel capitale sociale di Aspi della Cassa depositi e prestiti (Cdp) come azionista di riferimento (per poi avere voce in capitolo nella nomina dei suoi nuovi vertici), e del Pd (forse il vero vincitore morale) da sempre fautore della trattativa per evitare derive demagogiche assieme ad un contenzioso miliardario (dall’esito non proprio scontato per il Governo).
Ma la partita è stata soprattutto vinta da due soggetti apparentemente ed ufficialmente posizionati su fronti opposti ma forse – in realtà – non proprio rivali.
Innanzitutto la famiglia Benetton per aver accettato a viso aperto la sfida lanciata dalla grancassa di Palazzo Chigi per una proposta “irrinunciabile” poi risultata tale, ma anche per i risvolti economici legati al riassetto societario di Aspi con la vendita ad investitori istituzionali (scelti da Cdp ovvero dal Governo) delle azioni detenute da Atlantia (cioè dagli stessi Benetton).
L’altro vincitore è sicuramente il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che, con la soluzione di un altro dossier spinosissimo, ha posto nuovo fieno in cascina per la durata del suo esecutivo, oggi – indubbiamente – più forte ed autorevole anche verso gli investitori stranieri che nei giorni scorsi avevano manifestato preoccupazione per un eventuale commissariamento di Autostrade o, peggio ancora, per una revoca “al buio” della concessione ad Aspi che avrebbe aperto una causa infinita e lasciato il sistema autostradale italiano senza una guida certa.
Una partita che, per come è stata giocata, suscita molte riflessioni e qualche ilare perplessità.
Intanto il tempo: due anni di discussioni, accuse e minacce di crisi non sono bastati al Governo per giungere ad una proposta politica, poi – improvvisamente, nell’arco di un’oretta quasi miracolosa – il Consiglio dei ministri ha dato il via libera all’iter di transazione accogliendo in toto la proposta Benetton.
Poi il comportamento del premier: mentre, nelle ore febbrili, i partiti ribadivano fermamente le proprie irrinunciabili posizioni e il Governo sembrava sull’orlo dell’implosione, Giuseppe Conte – sereno, sereno – è apparso su tutti i canali tv per sollecitare un piano “irrinunciabile”.
E la domanda sorge spontanea: nella Babele di quelle ore dove le forze politiche di maggioranza se le davano di santa ragione minacciando ripercussioni sul Governo, come era possibile immaginarsi qualcosa di “irrinunciabile”?
Eppure ciò che ragionevolmente appariva impossibile è accaduto. Un caso? L’abilità mediatica del premier? Oppure la “proposta irrinunciabile” è frutto di un lavoro a più mani (comprese quelle raffinate di Palazzo Chigi)? Forse mentre la maggioranza di Governo si accapigliava, qualcuno nelle alte stanze dei Palazzi romani (forse anche quelli più alti) tesseva lana con “il nemico” per una soluzione che salvasse capra e cavoli? Forse quando è andato in scena il battage mediatico di Palazzo Chigi sulla “pietanza irrinunciabile” il piatto era già pronto e ben condito?
I dubbi rimangono tutti; ma una cosa appare ormai certa: Giuseppe Conte la sa molto più lunga di quanto faccia credere (soprattutto ai suoi).