È stato partorito in un clima di incredibile confusione il nuovo Dpcm, il famigerato “decreto del presidente del Consiglio dei ministri” destinato a regolare le nostre vite nelle prossime settimane. Una confusione che parla da sola: non si era vista neppure nei momenti più difficili della pandemia una firma all’una di notte. È l’indice di quanto il governo sia stato preso in contropiede dall’impennarsi dei contagi. Conte e i suoi ministri hanno annaspato, stretti fra l’allarme degli scienziati e il nervosismo di una popolazione provata dal lockdown di marzo e aprile. Provata nell’economia, ma anche nella tenuta psicologica.
Stavolta il minacciare misure tremende per poi addolcirle è uno schema che sembra non aver funzionato. Troppa confusione, dal divieto per il calcetto alle mascherine per i runners (immediata la correzione), dallo scontro con le regioni sulla didattica a distanza per le superiori sino al divieto delle feste private, con i social scatenati intorno alla violazione del diritto costituzionale all’inviolabilità del domicilio. Un punto su cui sembra sia stata necessaria la moral suasion del Quirinale per arrivare a una soluzione minimamente digeribile.
Quegli stessi italiani che in primavera cantavano sui balconi e applaudivano ogni sera ai medici e agli infermieri, oggi sembrano molto meno propensi a confermare quell’alta fiducia nelle scelte del Governo che hanno sin qui dimostrato.
Forse la confusione intorno al Dpcm è stata amplificata dalla discussione in atto sulle scelte di politica economica da fare, per le quali i tempi stringono. In teoria entro il giorno 15 andrebbe presentata in Parlamento e inviata in Europa la Nadef (cioè la Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza). I tempi stringono, le idee sono poco chiare, come poco chiari sono i numeri, soprattutto a Palazzo Madama.
Per approvare la Nadef, infatti, serve la maggioranza assoluta dei componenti delle due Camere. E al Senato il vantaggio del Governo è più risicato rispetto a Montecitorio. Per di più con alcuni senatori positivi al coronavirus e di conseguenza assenti, senza il voto a distanza il rischio di non farcela a raggiungere “quota 161” è concreto, anche se potrebbe arrivare qualche “soccorso azzurro”.
Il ritardo nella stesura di questo fondamentale documento di politica economica, preludio alla Legge di bilancio, nasconde la difficoltà di fare quadrare i numeri, stante l’incertezza sui tempi di arrivo dei fondi europei. Non è certo un bel quadro immaginare un rapporto deficit/Pil che arriva al 10,8% a fine anno. Solo durante le due guerre si era andati oltre, a parte il periodo fra il 1984 e il 1991, quando però l’inflazione era decisamente alta. In prospettiva l’aumento del costo della vita dovrebbe, invece rimanere minimo, e questo rende quel 10 e più per cento particolarmente preoccupante.
I tecnici del ministero dell’Economia sono apparsi molto restii a contabilizzare gli aiuti europei, i politici del Governo assai più convinti, quasi si trattasse della cavalleria nel fortino assediato dagli indiani. Eppure sull’arrivo del Recovery fund nessuno può dare garanzie. I soldi arriveranno se e quando sapremo produrre progetti validi secondo le regole imposte a livello comunitario, di sicuro nulla in questo ultimo scorcio di 2020. Chi ci ha fatto conto, ha sbagliato, ingenerando troppa attesa nel sistema economico e nei cittadini. Se poi, malauguratamente, si dovesse arrivare a un altro lockdown totale, o quasi, crollerebbe miseramente il castello di carte delle previsioni, che prevedono il rapporto deficit/Pil in discesa il prossimo anno al 7% e al 3% nel 2023.
In una situazione caratterizzata da una così elevata incertezza, forse contribuirebbe a dare qualche certezza in più agli italiani una condivisione delle scelte fra maggioranza e opposizione. Si tratta, invece, di un elemento che è completamente mancato per tutta la durata della pandemia, sino a oggi. Tante parole, nessuna disponibilità al confronto. Di fronte a un aggravamento della crisi il Governo rischia di trovarsi solo, a pagare il conto di mesi persi senza attrezzarsi per la seconda ondata, e senza provvedimenti in direzione della ripresa. L’opinione pubblica potrebbe essere molto meno indulgente che in primavera.