Il lungo crepuscolo di Angela Merkel assume ogni giorno colori più cupi e ritmi più affannosi: in Germania e soprattutto in Europa. Dieci giorni fa lo strappo improvviso e unilaterale sul vaccino AstraZeneca: rientrato a fatica dopo tre giorni, con la pronuncia contraria dell’authority sanitaria Ue e dietro forti pressioni di Italia e Francia. Poi il clamoroso uno-due della cancelliera sul prolungamento del lockdown interno: rimangiato nell’arco di quarantott’ore. Dopo sedici anni ininterrotti al potere, “Mutti Angela” è stata obbligata a scuse pubbliche senza precedenti nei confronti 80 milioni di tedeschi: per “una cattiva prova di governo”.



L’avvitamento era però iniziato una settimana prima con una pessima performance elettorale della Cdu: ai minimi storici nel voto in Renania-Palatinato e in Baden-Württemberg. Sei mesi prima delle elezioni politiche che segneranno la fine dell’era Merkel, in Germania nulla è più scontato: neppure la permanenza certa di Cdu-Csu come perno della futura coalizione (forse coi Verdi) e nemmeno la candidatura a cancelliere di Armin Laschet, il grigio notabile centrista scelto appena un mese fa dalla Merkel come suo successore (dopo il fallito “ballon d’essai” su Annegret Kramp-Karrenbauer).



Su questo sfondo non ha certo sorpreso che ieri l’Alta Corte tedesca abbia sospeso la ratifica del Recovery Fund, già approvato per legge al Bundesrat. Non erano trascorse neppure ventiquattr’ore da un Consiglio Ue caratterizzato anche da una presa di posizione da parte del premier italiano Mario Draghi, che ha posto sul tavolo senza mezzi termini l’opportunità di aprire il cantiere degli eurobond.

Il meccanismo del Recovery Fund, nei fatti, ha rotto il tabù storico della mutualizzazione del debito fra i Paesi dell’eurozona: ma – sempre nei fatti – Merkel aveva dovuto spendere tutta la sua capacità di mediazione interna ed europea. Il Recovery Fund, nei fatti, redistribuirà sui vari Paesi Ue finanza straordinaria raccolta sotto l’egida e con rating Ue. La parola “eurobond” era però rimasta fuori dai documenti: laddove a Paesi come Francia e Italia interessava la sostanza della svolta.



Era stato il governo francese, un anno fa, a ventilare l’ipotesi che una parte soltanto dei paesi-euro potessero decidere di presentarsi assieme sul mercato, lasciando la Germania al di là del muro della “non condivisione” del debito. Un’ipotesi che certo Merkel non poteva gradire: così come la cancelliera aveva sempre mantenuto una posizione equidistante sul Quantitative easing deciso dalla Bce a guida Draghi e avversato dalla Bundesbank e dai “falchi” della Cdu, come l’allora ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. E nel sottile gioco politico-istituzionale interno, Merkel aveva abilmente gestito l’opposizione legale sollevata anche in quel caso dall’Alta Corte tedesca.

Ora Draghi è tornato alla carica, con una divisa diversa: quella di capo del governo italiano. Ad un tempo più debole e più forte di quella di presidente Bce. Se a Francoforte il suo punto d’appoggio era l’indipendenza della politica monetaria nell’assenza di una politica finanziaria Ue, ora Draghi si muove con più forza relativa all’interno di una Ue mutilata dalla Brexit, sconvolta dal Covid, lenta nel reagire a Bruxelles. Soprattutto: gli eurobond sono totalmente coerenti con la strategia Next Generation Eu rimodellata nel Recovery e su questo il consenso è vasto a tutti i livelli (il “vecchio” rigorismo tedesco non piace in Francia ma neppure fra le forze politiche della sinistra in Germania).

L’ennesimo “arrocco” sulla Corte costituzionale – formalmente attivato dal ricorso di un’oscura associazione euroscettica – consente ora certamente a Merkel di bloccare un’accelerazione europea “anti-tedesca”, favorita dall’emergenza Covid, ma appare assai più insidioso che in passato. Ogni “stop and go” di natura burocratica – entro certi limiti lo è anche anche quello dell’Alta Corte tedesca – è sempre meno tollerato dall’opinione pubblica: soprattutto in una fase delicata di campagna elettorale. E se è vero che un futuro cancelliere potrà sempre ridiscutere sul piano politico il Recovery con i partner europei, potrebbe anche accadere che il successore della Merkel sia più convintamente “draghiano”: mettendo in scomoda “minoranza” i giudici costituzionali di Karlsruhe.

L’altra sera in rete con i capi di Stato e di governo Ue è intervenuto anche il nuovo presidente Usa Joe Biden: che ha promesso sostegno all’ammaccata Ue odierna, ma a patto che si chiarisca le idee sugli alleati (gli Usa nella cornice Nato) e sui rivali (Cina e Russia). Anche questa è stata musica sgradevole per le orecchie della cancelliera tedesca: che proprio Barack Obama (di cui Biden è stato vice) aveva incoronato come erede nella leadership globale della vera democrazia. Nel 2021, vicina al passo d’addio, Merkel si sente trattare dalla Casa Bianca democratica alla stregua del leader di un paese satellite. Che, tanto per cominciare, è nel mirino di Washington per l’insistenza nel voler portare a termine il progetto Nord Stream 2, la grande arteria energetica con la Russia di Putin.   

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