Dopo gli ultimi drammatici mesi, finalmente la pandemia da Covid-19 si trova in un’evidente fase di raffreddamento. A livello mondiale i decessi giornalieri sono scesi a circa 10.000 (su media settimanale) che, pur rappresentando ancora un numero elevatissimo, è comunque il valore più basso registrato da marzo, mentre il numero di nuovi casi è ormai in calo costante da aprile. Tuttavia, se questa è la dinamica globale, nei diversi paesi le dinamiche della pandemia sono molto differenti.
In Europa, ad esempio, paesi quali Francia, Germania e Italia presentano andamenti decisamente confortanti. In Francia il numero di decessi è, infatti, il più basso da ottobre (61), in Italia siamo tornati ai livelli di ottobre (59) e in Germania si è scesi a 86 decessi giornalieri, quali non se ne registravano da novembre (medie settimanali). Anche a livello di nuovi casi in questi paesi le cose sembrano procedere bene: in Francia e Germania i nuovi casi decrescono costantemente da aprile, mentre in Italia siamo in calo costante ormai da marzo.
In altri paesi, però, la situazione è decisamente meno idilliaca che da noi. Negli Stati Uniti, ad esempio, come pure in Spagna e nel Regno Unito, si osserva negli ultimi giorni qualche segnale di allarme. Infatti, sebbene in questi tre paesi il numero di decessi sia in calo costante (fermo da settimane su numeri molto bassi nel Regno Unito, il più basso da novembre in Spagna e addirittura il più basso da marzo del 2020 negli Usa), si è tuttavia registrata recentemente una ripresa del numero dei nuovi casi i quali, negli ultimi 10 giorni, sono passati da 57.000 a 66.000 nel Regno Unito (+15%), da 11.000 a 13.000 negli Usa (+11%) e da 5.000 a 6.000 in Spagna (+20%).
Infine, la situazione decisamente più allarmante si registra in paesi quali India e Brasile, nei quali osserviamo una decisa ripresa del numero dei decessi che, come sappiamo, rappresentano la misura più drammatica (ma anche la più affidabile) dell’andamento della pandemia. In particolare, il numero di decessi giornalieri negli ultimi 10 giorni è passato da 2.500 a 3.500 in India (+40%) e da 1.800 a circa 2.000 in Brasile (+11%). E se in India i contagi sono comunque in calo costante da maggio, in Brasile se ne registra, invece, un’allarmante crescita nell’ultima settimana da 57.000 a 70.000 (+22%). A cosa sono dovute queste differenze a livello territoriale?
La prima ovvia spiegazione che verrebbe in mente è il diverso andamento della campagna vaccinale. Tuttavia, guardando la Tabella 1 questa spiegazione può rendere ragione di quanto osservato in Brasile e India, dove la campagna vaccinale ancora stenta e la percentuale di popolazione completamente vaccinata è ancora molto bassa (11,3 % in Brasile e solo 3,5% in India). Ma certamente non riesce a spiegare ciò che stiamo osservando nel Regno Unito, dove la campagna vaccinale procede, invece, molto spedita, avendo raggiunto la percentuale più elevata della popolazione tra tutti i paesi osservati, ma dove, come abbiamo visto, il numero di contagi sta crescendo in modo allarmante.
Tabella 1: Ranking dei paesi considerati in termini di percentuale di popolazione vaccinata
1 dose | completa | |
Regno Unito | 62.8 | 45.3 |
USA | 53.2 | 44.4 |
Germania | 48.8 | 26.9 |
Italia | 48.6 | 23.3 |
Spagna | 45.8 | 27.3 |
Francia | 45.1 | 21.3 |
Brasile | 26.8 | 11.3 |
India | 15.2 | 3.5 |
La spiegazione va dunque ricercata altrove e in particolare nella diversa diffusione delle varianti del virus. Il virus Sars-Cov-2, infatti, è in continua mutazione dal momento della sua prima apparizione nella città di Wuhan, in Cina, e ad ogni passaggio sviluppa caratteristiche diverse. Rispetto al virus originario registriamo oggi 4 mutazioni principali e un gran numero di sotto-varianti. Queste, inizialmente identificate dal luogo del loro primo apparire, sono oggi classificate con le lettere dell’alfabeto greco. La prima variante apparsa è detta oggi variante Alfa (tecnicamente detta variante B.1.1.7) ed è apparsa per la prima volta in Inghilterra e per questa ragione è stata denominata inizialmente «inglese». Successivamente si sono identificate in sequenza la variante Beta (B.1.351), inizialmente denominata «sudafricana», la variante Gamma (P.1), o «brasiliana», e la variante Delta detta «indiana» la quale, nella sua sotto-variante 2 (B.1.617.2), rappresenta oggi la maggiore minaccia a livello mondiale.
Tale variante, infatti, presenta alcune caratteristiche peculiari che la rendono particolarmente pericolosa. Innanzitutto, essa è il 60% più contagiosa della variante Alfa, la quale a sua volta era il 40% più contagiosa del ceppo originario. In secondo luogo, colpisce maggiormente le fasce di popolazione più giovane. Infine, tale variante è meno reattiva ai vaccini esistenti i quali, in particolare, sono scarsamente efficaci se somministrati solo con la prima dose e fino alla completa vaccinazione.
Un recentissimo studio apparso su Lancet basato su un campione di circa 20.000 individui osservati in Scozia da aprile a giugno quantifica alcuni di questi aspetti peculiari della variante Delta. Lo studio, infatti, evidenzia innanzitutto come il rischio di ospedalizzazione connesso con la variante Delta è circa il doppio della variante Alfa. Inoltre, l’efficacia del vaccino Pfizer sulla variante Delta scende dal 92% al 79% rispetto alla variante Alfa, ma, ancora più drammaticamente, il vaccino AstraZeneca presenta un’efficacia sulla variante Delta che si riduce dal 73% al 60% rispetto alla variante Alfa.
Infine, la copertura dai casi gravi derivanti dalla variante Delta (la quale con Pfizer è pari al 94% dopo una dose e sale al 96% dopo la seconda), scende, invece, al 71% dopo una dose e al 92% dopo la seconda per AstraZeneca.
I risultati del lavoro apparso su Lancet rendono dunque ragione della situazione di nuova emergenza che osserviamo in questi giorni nel Regno Unito e delle differenze rispetto a ciò che osserviamo, invece, nel nostro paese. Esse sono la conseguenza del combinato disposto di un insieme di fattori.
In primo luogo, ad oggi, nel Regno Unito la variante Delta ha ormai soppiantato la variante Alfa e rappresenta il 96% dei contagi, mentre nel nostro paese ha colpito solo il 7% dei casi registrati.
In secondo luogo, in Italia il vaccino prevalente è Pfizer (che copre circa il 70% del totale dei vaccinati), mentre nel Regno Unito prevale AstraZeneca, il quale, come già detto, è meno efficace sulla variante Delta.
In terzo luogo, nel Regno Unito si è optato per distanziare prima e seconda dose al fine di giungere rapidamente alla somministrazione di almeno una dose a una platea la più ampia possibile e, come osservato, la variante Delta non è adeguatamente protetta da una sola dose di vaccino.
Infine, come già detto, la variante Delta si diffonde soprattutto nei giovani, i quali sono stati finora lasciati indietro nella campagna vaccinale. Invero, nello studio di Lancet si è osservato come meno del 5% dei casi ha riguardato persone di età pari o superiore ai 60 anni e in conseguenza di ciò nello studio citato ben il 68% delle persone contagiate con la variante Delta nel Regno Unito erano soggetti ancora non vaccinati. Al momento, infatti, nel Regno Unito mancano ancora da vaccinare circa 15 milioni di giovani adulti su una popolazione totale di 68 milioni.
La situazione nel nostro paese, dunque, per quanto ad oggi rassicurante, è ancora da monitorare accuratamente e sembra saggia la decisione del Governo di prorogare lo stato di emergenza anche oltre il 31 luglio come attualmente programmato. Oltre a proseguire a ritmi accelerati nella campagna vaccinale, senza dimenticare i più giovani con la sostituzione di AstraZeneca per gli under 60 con Pfizer o Moderna, particolare attenzione andrà posta ai controlli in ingresso da altri paesi, in particolare da quelli con prevalenza della variante Delta. E infine, prepararsi alla somministrazione di una terza dose, che ormai appare inevitabile, a partire dai medici e da tutto il personale sanitario.
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