Lo scorso 23 settembre, nell’ambito della revisione generale dei conti nazionali effettuata in accordo con le istituzioni europee, l’Istat ha reso note le nuove stime annuali di contabilità nazionale per il triennio 2021-23. Pochi giorni fa ha invece pubblicato i dati trimestrali relativi a tale revisione, molti utili per trarre un bilancio della crescita dell’economia italiana nel dopo Covid e sino ai dati più recenti che sono riferiti allo scorso trimestre primaverile.
Prima di esaminarli conviene tuttavia ricordare in sintesi i cambiamenti apportati dalla revisione dei dati annuali, esaminati in dettaglio in una precedente occasione. Essa ha portato infatti:
-a una maggior stima del Pil nominale rispetto al precedente valore pari a 20,6 miliardi nel 2021, 34,2 miliardi nel 2022 e 42,6 miliardi nel 2023, anno in cui essi si è attestato a 2.128 miliardi;
– a un maggior livello del Pil anche in termini reali nel triennio, con un valore che nel 2023 si è collocato per la prima volta al di sopra di quello raggiunto nel 2007, l’anno che precedette la crisi finanziaria e la prima delle due recessioni consecutive che hanno azzoppato la crescita italiana;
– sempre in termini reali la crescita del Pil è stata rivalutata per il 2021 dall’8,3% all’8,9% e per il 2022 dal 4% al 4,7%. Invece per il 2023 la correzione è stata al ribasso e portata allo 0,7% rispetto al precedente 0,9%. In sostanza il Pil reale del 2022 era più elevato di quanto si credesse e in conseguenza la crescita del 2023 è risultata più piccola.
Passiamo ora dai dati annuali a quelli trimestrali, soffermandoci solo sull’ultimo noto, quello primaverile del 2024. Ma di seguito andiamo a ripercorrere tutto il sentiero del Pil dall’inizio del Covid. Per il secondo trimestre del 2024 la revisione dell’Istat non ha cambiato la variazione percentuale del Pil reale, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, rispetto al trimestre precedente. Essa è infatti rimasta allo 0,2%, tuttavia, con un Pil dell’anno prima ora stimato più in alto, la crescita rispetto allo stesso trimestre del 2023 è stata tagliata dallo 0,9% allo 0,6%. Anche la crescita acquisita per il 2024 è stata ribassata, allo 0,4% rispetto al precedente valore dello 0,6%. In sostanza non è stato rivisto al ribasso l’ultimo Pil stimato, anzi esso ora è maggiore, ma quello dell’anno prima è stato rivisto al rialzo ancora di più, per cui ora il gradino che vi è stato tra i due risulta più piccolo.
Anche se i dati dettagliati dell’ultimo trimestre rivestono un ovvio interesse sembra tuttavia più utile andare a rivedere l’intero percorso dell’economia italiana, dalla vigilia del Covid a ora, per osservare quello che è effettivamente successo.
Grafico 1 – Pil reale dell’Italia (indice IV trim. 2019=100)
In base ai dati trimestrali rivisti la caduta del Pil reale, avvenuta a causa del lockdown nel primo semestre del Covid, è completamente recuperata col terzo trimestre del 2021. In seguito la crescita prosegue con una discreta velocità sino al terzo trimestre del 2022 per poi attenuarsi notevolmente sinora. Nell’estate del 2022 l’indice del Pil reale, posto uguale a 100 a fine 2019 raggiunge il livello di 105, il 5% al di sopra dell’ultimo dato ante-Covid. Da allora sino all’ultimo dato disponibile sono trascorsi ben sette trimestri, tuttavia l’indice sale solo di mezzo punto, da 105,0 a 105,5. Ricordiamo che questo è anche il periodo degli alti tassi della Bce, ossessionata da un pericolo inflattivo che in realtà si stava già dissolvendo.
Grafico 2 – Le componenti della domanda interna (indici IV trim. 2019=100)
Ma quali componenti della domanda aggregata hanno permesso il recupero del Pil e quali l’hanno invece frenata? Dal Grafico 2, nel quale sono riportate sempre in termini reali le componenti della domanda interna , si evince che:
– i consumi delle famiglie, comprensivi dei consumi delle istituzioni private non profit, recuperano quasi completamente la caduta del Covid già nel terzo trimestre 2021, ma poi si fermano quasi completamente; fatto 100 l’indice a fine 2019, nel terzo trimestre 2021 esso è a 99. ma nel secondo trimestre 2024 è appena a 100,6; quanto ha pesato l’elevata inflazione nel frenare i consumi e quanto l’effetto del grande rialzo nel biennio del costo dei mutui a tasso variabile?
– la domanda della Pa non si è ovviamente ridotta durante il Covid e in seguito ha seguito esattamente la dinamica del Pil;
– gli investimenti hanno registrato un vero e proprio boom, di per sé un’ottima notizia se non sapessimo che la causa è essenzialmente imputabile ai Superbonus dell’edilizia…; fatto 100 il livello ante-Covid l’indice è salito sino a 135 a fine 2023 per poi fermarsi su quel livello.
Dato il ruolo fondamentale svolto dagli investimenti conviene andare a fondo sulle differenti tipologie che rientrano nei medesimi.
Grafico 3 – Le componenti della domanda per investimenti (indici IV trim. 2019=100)
Si vede nel Grafico 3 il grande effetto dei Superbonus sugli investimenti in “abitazioni”, categoria in cui rientrano tutti i lavori manutentivi e migliorativi. Esso inizia a manifestarsi già a fine 2020 e si protrae sino alla fine del 2023, ove l’indice raggiunge l’eccezionale valore di 193, dunque con un quasi raddoppio rispetto al pre-Covid.
Molto più ridotti sono invece gli incrementi relativi agli investimenti in impianti e macchinari, con l’indice ora a 110, e quelli relativi ai mezzi di trasporto, con l’indice ora a 120. L’ultima categoria rilevante è quella dei fabbricati non residenziali, in cui rientrano anche gran parte degli investimenti pubblici del Pnrr. In questo caso l’indice accelera dalla fine del 2023 ed è ora a quota 138.
È necessario ricordare che gran parte degli effetti del Superbonus si sono prodotti dopo che il Pil aveva recuperato il livello pre-Covid. Ma dopo che essi si sono prodotti il Pil è rimasto stazionario… Invece tutti gli effetti del Pnrr si stanno manifestando dopo il pieno raggiungimento dei livelli pre-Covid, nella fase in cui tuttavia il Pil è quasi fermo.
Resta da analizzare la componente estera della domanda, ma la rinviamo alla prossima puntata, in cui vedremo soprattutto il lato dell’offerta analizzando il contributo dei diversi settori produttivi.
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